I costi della giustizia e la giustizia a tutti i costi: class action e litigation funding

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Si presentano come una nuova opportunità di business per gli studi legali ma sono, prima di tutto, una soluzione ai costi della giustizia che, specialmente nel nostro Paese, scoraggiano dal richiedere la tutela giurisdizionale dei propri diritti a tutti garantita (art. 24 Cost.): le azioni di classe e il litigation funding.

I due istituti, di matrice anglosassone, vanno di pari passo quando si elaborano nuove strategie per gestire il contenzioso di piccole e medie imprese e non solo; Milano e Roma, aperte al mercato internazionale, sono le città ora più pronte ad aprire le liti, anche quando si tratta di azioni di classe, ad un terzo finanziatore e a gestire i rapporti con fondi specializzati.

1. La class action si chiama, in Italia, azione collettiva o azione di classe, introdotta con l’art. 140-bis del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005). Dopo circa dieci anni di funzionamento che ne hanno mostrato alcuni importanti limiti, l’azione di classe ha subito significative modifiche con la legge di riforma 12 aprile 2019, n. 31, inserita nel codice di procedura civile in un titolo VIII-bis del Libro IV, e in vigore dal novembre 2020, con un ampliamento dell’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo che supera la logica strettamente consumeristica.

A partire dal 25 giugno 2023 inoltre sono diventate applicabili le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 28/2023, il quale recepisce la direttiva UE 2020/1828 sulle “azioni rappresentative” a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, a integrazione del Codice del Consumo (articoli da 140 ter a 140 quaterdecies).

L’obiettivo della direttiva europea è di consolidare la fiducia dei consumatori nel mercato interno, assicurandone una tutela effettiva ed uniforme.

A differenza della class action delineata dal legislatore del 2019, finalizzata a tutelare i diritti individuali omogenei dei componenti di una classe, la nuova azione rappresentativa viene definita come un’azione per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori, vale a dire – secondo la definizione del decreto, in linea con la direttiva europea – quelli derivanti dalle violazioni dei regolamenti e delle direttive elencate espressamente nell’allegato II del decreto legislativo. Inoltre la nuova disciplina si differenzia in quanto l’azione rappresentativa è promossa esclusivamente da enti legittimati, appositamente inseriti in un elenco presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, anche in mancanza di mandato dei singoli “rappresentati”.

Ulteriore elemento di novità è l’estensione della legittimazione passiva: l’azione rappresentativa potrà infatti essere promossa sia contro imprese ed enti pubblici, sia nei confronti di qualsiasi professionista, persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che agisca per fini relativi alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale.

L’azione rappresentativa, che può essere nazionale o transfrontaliera, è volta all’adozione di provvedimenti inibitori (articolo 140 octies) – la cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva di violazione delle norme a tutela dei consumatori e la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani – e/o provvedimenti compensativi (articolo 140 novies) – il risarcimento, la riparazione, la sostituzione, la risoluzione del contratto, la riduzione o il rimborso del prezzo.

Abbiano parlato in conference di A.L. della necessità di vincere la tradizionale resistenza culturale dei giudici italiani verso tale nuovo istituto, ma questo verrà da sé con l’aumento dei casi concreti di azioni rappresentative.

2. Altro istituto che sta diffondendosi ora in Italia, perché già sviluppato su scala mondiale (in USA, Canada, Australia in particolare, ma sta prendendo piede anche in Europa, specialmente nei Paesi bassi, in Svizzera e in Norvegia), è il litigation funding, vale a dire il finanziamento del contenzioso da parte di fondi specializzati.

Si tratta di un’operazione di investimento: un finanziatore (terzo ed estraneo alla lite) investe in un contenzioso legale, giudiziale o stragiudiziale, o in un arbitrato, accollandosi, in tutto o in parte, i costi della lite e il relativo rischio della soccombenza, compreso il pagamento delle spese processuali alla controparte.

In caso di vittoria giudiziale spetterà al finanziatore un corrispettivo calcolato in percentuale sul al risultato ottenuto; di contro, in caso di soccombenza, il finanziatore – che si è accollato il rischio di insuccesso – non dovrà essere ripagato. Va da sé il forte incentivo alla richiesta di finanziamento dei “costi della giustizia”.

Ci viene subito in mente l’aggiramento del divieto di patto di quota lite, non potendo gli avvocati percepire un compenso calcolato sul risultato del vittorioso giudizio: ma il divieto non opera nei confronti di terzi, essendo così possibile l’intermediazione di un soggetto terzo, appunto il finanziatore.

Ecco perché l’assunzione dei costi legali delle liti di privati, imprese, società e anche pubbliche amministrazioni da parte di fondi specializzati in cambio del ritorno del capitale investito, è un sicuro business per gli studi legali, i quali possono ottenere da tale operazione maggiori garanzie di essere remunerati della loro prestazione professionale mantenendo la libertà di esercitare la professione in autonomia e indipendenza.

Lo studio legale deve essere però munito di un apposito sportello, come abbiamo detto in conference, in grado di consigliare o meno al cliente il contratto di finanziamento: il fondo specializzato parla con lo studio legale il quale si trova a svolgere questa necessaria funzione intermediatrice tra il finanziatore e il cliente.

Si tratta quindi di un accordo trilaterale, che coinvolge l’avvocato, il finanziatore e l’assistito.

3. Si tratta ora di stabilire che cosa devono fare gli studi legali e che cosa può fare la nostra A.L. per essere preparati ai due nuovi istituti delle class action del litigation funding.

Anche perché in Italia le insolvenze e le procedure concorsuali sono ultimamente aumentati a dismisura, così anche i contenziosi di quelle imprese che, pur non essendo a rischio di insolvenza o di fallimento, sono costrette a investire le loro risorse nel contenzioso.

Al punto che la Camera arbitrale di Milano ha voluto adeguare il regolamento arbitrale all’attività di third party litigation funding, nei casi in cui ci si trovi cioè ad avere a che fare con un finanziatore terzo, estendendo a partire dal 1° marzo 2019 l’obbligo di disclosure, già esistente per l’arbitro, all’investitore terzo.

Per ciò che riguarda la nuova azione rappresentativa senza dubbio si tratta di  strumento in grado di rafforzare in maniera significativa la tutela dei consumatori nei confronti delle imprese, tenendo conto che possono costituire oggetto dell’azione ora anche la fornitura dei dispositivi medici e la responsabilità da prodotto difettoso, e di casi concreti sul tema non siamo in Italia affatto carenti.

Ricordiamoci che l’azione rappresentativa può essere promossa esclusivamente dai c.d. enti legittimati dotati di specifici requisiti (associazioni di consumatori e utenti, organismi pubblici indipendenti), i quali potranno avviare a tutela degli interessi collettivi dei consumatori sia azioni nazionali che transfrontaliere, volte ad ottenere l’adozione di provvedimenti inibitori o compensativi, che potranno essere richiesti anche in via cumulativa. A tali enti legittimati è consentito di agire anche senza un preventivo mandato da parte dei consumatori, i quali potranno aderire all’azione rappresentativa anche in un momento successivo alla sua instaurazione.

Per quanto riguarda il litigation funding sarà compito dell’avvocato di assistere l’assistito in tutte le fasi dell’operazione di finanziamento fino alla stesura dell’accordo, il  litigation funding agreement: si devono anzitutto redigere i documenti necessari a tale accordo trilaterale, comprendente la domanda di finanziamento completa di relazione tecnico-legale sulla lite con i relativi documenti, l’analisi di due diligence da parte del finanziatore, il tutto da presentare all’investitore per la valutazione sulla convenienza dell’operazione.

Milano, 6.11.2023

Avv. Giovanni Bonomo
A.L. Chief Innovation Officer – Dipartimento diritto dell’informazione e dell’informatica

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