Come già anticipato, una questione fondamentale che riguarda la responsabilità medica è quella che attiene al suo fondamento giuridico, ossia se essa è configurabile come responsabilità contrattuale o come responsabilità extracontrattuale.
La qualificazione della fattispecie in una o nell’altra categoria giuridica non è di poco conto, in quanto dalla scelta operata dipenderà una diversa disciplina giuridica, soprattutto per quanto riguarda il regime dell’onere della prova e quello della prescrizione.
Nell’esaminare la questione, occorre preliminarmente operare una distinzione, e quindi trattare separatamente la responsabilità della struttura sanitaria (sia essa casa di cura, ospedale pubblico, clinica privata, etc) e la responsabilità del medico per gli errori commessi nell’esercizio della sua attività.
È già stato anticipato come, per quanto riguarda l’accertamento della responsabilità dell’ospedale in caso di malasanità, viene in essere una fattispecie contrattuale che nasce dal c.d. “contratto di spedalità”, il quale ha la propria origine nella semplice accettazione del paziente nella struttura ospedaliera.
Tale contratto di spedalità ha natura autonoma ed atipica, e può essere definito come contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del paziente.
Questo è stato esplicitamente confermato dalle Sezioni Unite della Cassazione le quali, con sentenza 11 gennaio 2008, n. 577, hanno richiamato la precedente giurisprudenza affermando che:
“Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto”.
Secondo le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza, il paziente che viene accettato in una struttura, per essere ricoverato o per essere sottoposto ad una visita ambulatoriale al fine di ottenere assistenza sanitaria, contrae a tutti gli effetti un contratto di prestazione d’opera atipico c.d. di spedalità.
Con questa locuzione si intende che il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura ospedaliera non si esaurisce nelle prestazioni di cure mediche e chirurgiche, ma si estende anche alla messa a disposizione del personale medico ausiliario, paramedico, di medicinali, di tutte le attrezzature necessarie nonché di tutti i rapporti tipicamente alberghieri di vitto e alloggio.
Qualora queste prestazioni non siano eseguite correttamente, si può incorrere in un caso di malpractice sanitaria ed è allora possibile adire, assistiti da un avvocato specializzato in malasanità, le vie legali invocando la responsabilità contrattuale dell’ente ospedaliero.
Su questo punto è stata chiara la Cassazione che, con sentenza Cass. Civ., Sez. III, del 26 gennaio 2006, n. 1698, affermava:
“che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 c.c., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 c.c., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato”.
Ne consegue quindi non solo la possibilità di invocare, per la vittima della malasanità, la responsabilità contrattuale dell’azienda ospedaliera, ma anche che questa responsabilità sussiste indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la struttura sanitaria e il medico specialista (ad esempio anche nel caso in cui la prestazione medico-chirurgica sia stata eseguita da un medico privato, o “di fiducia”, ma all’interno di una diversa struttura sanitaria).
E la giurisprudenza più recente sembra essersi accostata al riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità medica della struttura sanitaria, come può rilevarsi dalle ultime sentenze, sia di merito che di legittimità, che continuano a più riprese a richiamare le precedenti decisioni della Corte di Cassazione con riferimento al contratto di spedalità. Si veda ad esempio Cass. Civ., sez. III, del 18 settembre 2014 n. 19658, nella quale si afferma chiaramente che:
“L’accettazione di un degente presso una struttura ospedaliera comporta l’assunzione di una prestazione strumentale e accessoria – rispetto a quella principale di somministrazione delle cure mediche, necessarie a fronteggiare la patologia del ricoverato – avente ad oggetto la salvaguardia della sua incolumità fisica e patrimoniale […]”.
Diverso è il discorso da farsi con riferimento all’accertamento dell’errore del medico professionista e della relativa responsabilità cui questo è sottoposto.
Se, come visto sopra, per la responsabilità della struttura sanitaria l’orientamento della giurisprudenza risulta essere pacifico, lo stesso non può dirsi per quanto riguarda la responsabilità del dottore coinvolto in un caso di malpractice sanitaria.
In questo campo infatti la giurisprudenza ha avuto una notevole e non sempre univoca evoluzione, avente appunto a riguardo la natura giuridica della responsabilità del professionista medico-sanitario, con oscillazioni tra la sua natura contrattuale e quella non contrattuale.
Fino agli anni ’90 l’orientamento giurisprudenziale prevalente (nonostante sussistessero fin da allora alcune decisioni difformi; si veda tra tutte Cass. Civ., sez. III, 1 marzo 1988) riteneva che mentre non era in dubbio la natura contrattuale del rapporto intercorso tra il paziente e l’ospedale, per quanto riguarda il rapporto tra il paziente ed il medico si verteva all’interno della responsabilità extracontrattuale, in quanto non si riteneva sussistente alcun contratto tra gli stessi.
Emblematica è la sentenza Cass. Civ., sez. III, del 26 marzo 1990, n. 2428, riguardante la richiesta di risarcimento danni avanzata da un paziente che subiva un grave danno a seguito di un intervento chirurgico mal condotto (nella specie, a seguito dell’errato intervento al midollo spinale il paziente rimaneva paralizzato in tutta la parte inferiore del corpo):
“È, anzitutto, da porre in evidenza che, nel caso concreto, si è nel campo della responsabilità extracontrattuale, non essendo stato concluso alcun contratto tra il C. (medico) ed il G. (paziente) in ordine alla operazione chirurgica, mentre deve ritenersi pacifico che il rapporto contrattuale è sorto tra l’ente ospedaliero e lo stesso G.”.
Un diverso orientamento ha però iniziato ad affermarsi verso la fine degli anni ’90, mosso soprattutto dalla mutata sensibilità sociale alla questione, che portò la dottrina del tempo ad affrontare criticamente l’impostazione che voleva la responsabilità del medico come sola responsabilità extracontrattuale.
Si riteneva, infatti, che l’onere probatorio così imposto fosse eccessivamente penalizzante per il paziente; in quanto nell’ambito della responsabilità extracontrattuale spetterebbe all’attore provare la sussistenza della colpa in capo al medico che sia incorso in un errore medico o chirurgico.
La Corte tuttavia cambiava radicalmente la propria posizione a partire da una fondamentale sentenza del 1999 (Cass. Civ, sez. III, del 22 gennaio 1999, n. 589) con la quale, facendo proprie le più recenti teorie dottrinali, affermava che il rapporto intercorso tra il dottore ed il paziente potesse far riferimento ad un “rapporto contrattuale di fatto, o da contatto sociale”.
Si deve infatti ricordare che, al fine di poter sostenere la natura contrattuale di un rapporto, occorre che alla base dello stesso vi siano delle obbligazioni corrispettive. A norma dell’art. 1173 c.c. (fonti dell’obbligazione), queste possono nascere da contratto, da fatto illecito o “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”.
La Cassazione sosteneva pertanto che, secondo la teoria del contatto sociale, è configurabile quale fonte di obbligazione anche l’affidamento, ed è proprio l’affidamento che il paziente fa nei confronti del proprio medico che caratterizza il rapporto tra le parti.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 589 del 1999, affermava che nei casi di rapporto paziente-medico, si instaura un rapporto contrattuale di fatto connotato dalla presenza di determinati obblighi in capo alle parti. In particolare il medico ha, nei confronti del proprio paziente, determinati obblighi di protezione che devono sussistere per tutta la durata del rapporto.
Pertanto, nei casi di errata esecuzione della prestazione medica, afferma la Corte che:
“non può esservi (solo) responsabilità aquilana, poiché questa non nasce dalla violazione di obblighi ma dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui […]; quando ricorre la violazione di obblighi, la responsabilità è necessariamente contrattuale, poiché il soggetto non ha fatto (culpa in non facendo) ciò a cui era tenuto in fora di un precedente vinculum iuris, secondo lo schema caratteristico della responsabilità contrattuale”.
Tuttavia, nonostante il cambiamento di rotta segnato da questa sentenza, le Sezioni Semplici della Cassazione hanno riportato degli anni orientamenti altalenanti, fino a che non sono intervenute le Sezioni Unite che, con la più volte citata sentenza Cass. Sez. Un. n. 577 dell’11 gennaio 2008, hanno fermamente affermato che:
“Anche l’obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale”, ha natura contrattuale”.
Quando quindi la questione sembrava essere stata risolta con l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, il legislatore è intervenuto con la c.d. Legge Balduzzi che ha in un certo senso riaperto le dispute a riguardo.
L’art. 3, comma 1° della predette legge infatti, richiamando l’art. 2043 c.c. disciplinante la responsabilità aquilana, ha dato adito soprattutto nelle Corti di merito ad interpretazioni volte a riportare la condotta colposa del medico entro la sfera della responsabilità extracontrattuale.
Si riporta, in quanto emblematico, passo della sentenza n. 1406 del 26 novembre 2012 del Tribunale di Varese, il quale all’indomani della promulga della Legge 13 settembre 2012, n. 158 (c.d. Legge Balduzzi, appunto), affermava che:
“La norma […] per il caso della colpa lieve, tuttavia, dichiara la persistenza della responsabilità civile del medico; e però, così facendo, individua quale grimaldello normativo non già l’art. 1218 c.c., bensì l’art. 2043 c.c. […]. Secondo una certa lettura […] il Legislatore consapevole avrebbe indicato agli interpreti la preferenza del Parlamento per l’orientamento giurisprudenziale che predica(va) l’applicazione dell’art. 2043 c.c. e non anche lo schema del c.d. contratto sociale qualificato”.
Di segno contrario però la Corte di Cassazione, che è ritornata sul punto con ordinanza 17 aprile 2014, n. 8940. Con questa ordinanza la Corte ha sostenuto la posizione presa dalle Sezioni Unite del 2008, riaffermando quindi la natura contrattuale della responsabilità del medico:
“Con l’art. 3, comma primo, del d.l. n. 158/2012 conv. in L. 189/2012, c.d. Legge Balduzzi, il Legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l’irrilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso certamente prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità aquilana. Non sembra ricorrere, dunque, alcunché che induca il superamento dell’orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni”.
Successivamente la legge Gelli-Bianco, nel 2017, è intervenuta anche su questo tema infatti all’art. 7 c.3, si legge come l’esercente della professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 a titolo, quindi, di responsabilità extra-contrattuale, a meno che egli ha agito in adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. In sostanza, la già menzionata legge, inquadra la responsabilità contrattuale in capo all’esercente della professione sanitaria solo se vi è un vero e proprio contratto tra medico e paziente.
Nonostante quindi le diverse oscillazioni della giurisprudenza, sembra sia ad oggi possibile sostenere che sia la responsabilità dell’ospedale che la responsabilità del professionista medico siano di natura contrattuale.
Questo però, si noti bene, non impedisce il concorso di entrambe le fattispecie, contrattuale ed extracontrattuale, in capo allo stesso soggetto (ossia al medico). Infatti è pacificamente ritenuto ammissibile il concorso tra le due ipotesi, dal momento che la preesistenza di un vincolo contrattuale non può andare ad intaccare la tutela riservata dalla legge ai diritti primari del singolo, in particolare quando il danno cagionato alla vittima di malasanità sia stato causato dalla cattiva esecuzione della prestazione medica e curativa.