Malasanità proposte legislative e ultima giurisprudenza

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Malasanità proposte legislativeDopo aver analizzato i molteplici aspetti che coinvolgono la responsabilità medica, si è pensato di illustrare qui quelle che sono le principali proposte legislative in materia e la giurisprudenza più recente. Il tema della malasanità è purtroppo un tema attuale e in costante crescita, pertanto si ritiene che un aggiornamento continuo ed attento sia necessario al fine di affrontare al meglio tutti i problemi che una causa concernente la richiesta del risarcimento dei danni patiti a causa di un errore medico può comportare.

Proposte di riforma

Come ampiamente visto attualmente la responsabilità medica è regolata con la legge dell’8 marzo 2017, n. 24, la c.d. Legge Gelli Bianco che prevede una responsabilità contrattuale per la struttura sanitaria e una responsabilità, invece, extracontrattuale per il medico, a meno che quest’ultimo non abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

La legge ha come obiettivo quello di mettere a tacere le varie discussioni che nel tempo si sono create sul tipo di responsabilità da imputare al medico o alla struttura sanitaria, cercando quindi di dare una risposta definitiva.

Tuttavia, la legge ha creato diversi interrogativi sulla sua applicazione. Alcuni giuristi hanno mosso critiche sulla scelta della attribuzione della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 in capo al medico da cui deriverebbe l’obbligo del paziente di provarne i presupposti oggettivi e soggettivi, mentre alla struttura sanitaria è prevista la responsabilità contrattuale riferita non solo alla disposizione di mezzi o servizi ma anche all’esecuzione della prestazione medica ad opera del medico (sia che sia dipendente, sia che sia un terzo che opera all’interno della struttura). Questi autori ritengono la circostanza contraddittoria poiché se il medico risponde in tema di responsabilità extracontrattuale non si capisce perché la struttura dovrebbe rispondere a titolo contrattuale per la prestazione del medico.

Si noti come quindi la legge sopra citata , seppur da una parte ha aiutato i giuristi cercando di mettere un punto definitivo alla materia, dall’altra ha senza dubbio creato delle criticità applicative.

Per questa ragione, successivamente, si sono create varie proposte di riforma al tema del risarcimento da responsabilità medica, ad esempio nel 2022 vi è stata una proposta di legge che aveva come fine quello di ricondurre la responsabilità civile del medico a titolo contrattuale e, oltretutto, di abrogare l’articolo del codice penale inerente alla responsabilità colposa per omicidio o lesioni personali in ambito medico (590 sexies c.p.), riconducendo la responsabilità penale alle fattispecie di omicidio colposo (art. 589 c.p.) oppure lesioni personali colpose (art. 590 c.p.).

Malasanità proposte legislativeGiurisprudenza più recente

Si vogliono qui riportare, a puro scopo esemplificativo, alcune delle sentenze più significative della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione civile avente a riguardo casi di responsabilità medica.

Cass. Civ., Sez. III, Sent. 20 agosto 2015, n. 16993

La Corte di Cassazione riconosce il risarcimento del danno per la tardiva diagnosi di cancro all’utero.

Nella sentenza ivi in commento la Corte ha disposto il risarcimento del danno spettante ad una donna deceduta per un cancro all’utero il quale non era stato diagnosticato per tempo dal proprio ginecologo.

In particolare la Corte di Cassazione ha disatteso le conclusioni cui era giunto il giudice in sede di gravame, il quale aveva sì accertato la responsabilità colposa del ginecologo che non aveva eseguito tutti gli esami necessari per la diagnosi da effettuarsi alla propria paziente; ma aveva escluso il nesso di causalità tra la morte della paziente e la tardiva diagnosi sull’assunto che la malattia era già in fase terminale e il decesso sarebbe in ogni caso avvenuto.

La Corte di Cassazione ha ritenuto tale motivazione “apodittica ed erronea”, sostenendo anzi che spettasse alla signora deceduta (e quindi agli eredi iure hereditatis) il risarcimento dei danni derivanti dal non aver potuto godere, a causa della condotta negligente ed imperita del medico, di cure c.d. “palliative” e quindi atte a garantire una migliore qualità della vita alla paziente.

Ha inoltre sostenuto che spettassero alla Signora il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita della chance di poter vivere per un anche breve periodo in più della propria vita consapevole della propria malattia. Pertanto, per effetto della condotta colposa del ginecologo, la paziente non ha potuto programmare “il proprio essere persona” decidendo per sé stessa in modo consapevole come condurre la propria vita in attesa del nefasto momento della morte.

Tali danni, ha osservato la Corte, devono essere risarciti.

Cit.

“Il rilievo secondo cui il morbo ha nel caso avuto “una progressione che avvenne con modalità particolarmente rapida ed inconsuetamente tumultuosa” per cui “poco o nulla sarebbe comunque cambiato circa il decorso clinico”, e la conclusione di “insussistenza del nesso causale tra l’aggravamento della malattia e il comportamento omissivo del sanitario” sono stati dal giudice del grave invero, rispettivamente formulato e trattato senza invero considerare che anche in presenza di una situazione deponente per un prossimo ed ineluttabile exitus l’intervento medico può – come detto – essere comunque volto a consentire al paziente di poter eventualmente fruire di un intervento anche solo meramente palliativo idoneo, se non a risolvere il processo morboso o ad evitarne l’aggravamento, quantomeno ad alleviarne le sofferenze.

A tale stregua, l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale assume allora rilievo causale non solo in relazione alla chance di vivere per un (anche breve) periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto ma anche per la perdita da parte del paziente della chance di conservare, durante quel decorso, una “migliore qualità della vita” […] intesa – come detto – quale possibilità di programmare […] il proprio essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle proprie attitudini psicofisiche in vista e fino a quell’esito”.

Cass. Civ., Sez. III, Sent. 18 settembre 2015, n. 18305

La Cassazione riconosce il risarcimento del danno patrimoniale futuro da diminuzione della capacità lavorativa di una minore divenuta sordomuta a seguito di una mancata diagnosi di meningite.

Con la sentenza in commento la Cassazione ha disatteso quanto valutato dalle corti di merito, le quali – soprattutto in sede di appello – avevano ritenuto non sussistente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale futuro da diminuzione della capacità lavorativa per una minore costretta a portare un impianto cocleare.

Nel caso in specie la bambina era stata in tenera età colpita da una meningite batterica la quale, non individuata dal medico, aveva comportato una cofosi ossia una perdita completa e bilaterale della funzione uditiva per la minore.

La Corte di Appello ha ritenuto non sussistere il diritto al risarcimento di tale voce del danno patrimoniale in quanto la bambina aveva recuperato quasi pienamente la funzionalità uditiva grazie all’utilizzo di un apposito impianto cocleare.

Tuttavia, lamentano i genitori ricorrenti, la bambina continuava a presentare problemi scolastici, necessitava di insegnante di sostegno e non riusciva a stare al passo con gli altri bambini; oltre a subire un danno morale derivante dalla consapevolezza di essere “diversa” dagli altri bambini normoutenti.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto quanto lamentato dai genitori, è osservando che “la correzione del deficit uditivo della minore tramite impianto cocleare non è in alcun modo di per sé idonea ad escludere il riversarsi dello stato invalidante permanente sulla capacità lavorativa della stessa” ha inteso pronunciare il seguente principio di diritto:

“L’accertamento in un minore in età infantile che lo stato di invalidità permanente alla persona (nella specie sordità causata da non tempestiva diagnosi di meningite, stimata come determinativa di invalidità nella misura del 30% derivante da cofosi bilaterale), cagionato da responsabilità medica, sia rimediabile e sia stato in concreto rimediato tramite l’applicazione di una protesi (nella specie un impianto cocleare), non è ragione sufficiente – per vizio di violazione dell’art. 1223 c.c. sotto il profilo della mancata sussunzione dello stato invalidante come evidenziatore di un danno conseguenza patrimoniale futuro da c.d. perdita – a giustificare l’esclusione dell’esistenza, in ragione della invalidità, e sulla base di una valutazione prognostica, di un danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa del minore, atteso che il dover svolgersi la vita del minore con la percezione della costante applicazione della protesi necessaria per sopperire al deficit derivante dalla invalidità è circostanza che di per sé – e a maggior ragione quando come nella specie si accompagni da elementi desunti come sintomatici nello stesso senso delle modalità di vita del minore nel momento in cui si compie l’accertamento – contrattile e si oppone a quella esclusione”.

Corte di Cassazione Civile, sez. 3. Sentenza n. 18813 del 2 luglio 2021

La corte ha accolto il ricorso di un paziente che aveva contratto l’epatite C a seguito di un trattamento di emotrasfusione presso una struttura sanitaria, sulla base del fatto che il controllo delle sacche è un compito di responsabilità della struttura, che deve fornire ai pazienti, perciò ne deve controllare la qualità e la purezza per poterne effettuare il trattamento.

In ambito di responsabilità medica, in capo alla struttura sanitaria e ai medici si innesta una responsabilità a carattere contrattuale a norma degli artt. 1218 e 1228 del codice civile. Tra paziente e ospedale si configura dunque un rapporto contrattuale autonomo e atipico, c.d. di spedalità, in base al quale il nosocomio si impegna a fornire una prestazione articolata, genericamente detta di “assistenza sanitaria” che tuttavia ingloba al suo interno non solo la prestazione medica principale, ma anche tutta una serie di obblighi di protezione e accessori.”

Corte di Cassazione Civile, Sez. 3, sentenza n. 25884 del 2 settembre 2022

In questa sentenza la Cassazione si esprime in merito alle cause di responsabilità civile del medico ove l’evento dannoso può essere riconducibile ad una pluralità di cause.

La corte stabilisce come, in caso di incertezza della causa del danno, l’onere della prova che l’aggravamento della situazione patologica sia in capo alla condotta del medico spetta al paziente, mentre il medico deve dimostrare che quanto dedotto dal danneggiato sia stato determinato da una causa a lui non imputabile. Sulla base di queste precisazioni il giudice deve quindi applicare i criteri del ‘più probabile che non’, eliminando le ipotesi meno probabili tra quelle rimanenti e scegliere, di conseguenza, quelle ipotesi che hanno avuto il maggior grado di conferma sulla base degli elementi dedotti in giudizio

“In tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della “probabilità prevalente” e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente”.

Corte di Cassazione Civile, Sez. 3, sentenza n. 4904 del 15 febbraio 2022.

La Cassazione in questa pronuncia si è espressa ribadendo un principio che già da tempo era sostenuto dalla stessa corte in precedenza, secondo cui la responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati iure proprio dai congiunti del paziente deceduto, deve essere qualificata come extracontrattuale. Infatti, la stessa corte, precisa che il rapporto che si instaura fra il paziente e la struttura sanitaria (o il medico) produce effetti solo tra le parti, di conseguenza la responsabilità contrattuale può essere richiamata esclusivamente dal paziente o dagli eredi di quest’ultimo che agiscono per iure hereditatis.

Ai fini dell’esonero dalla responsabilità contrattuale derivante da emotrasfusione, la struttura sanitaria inserita nella rete del SSN presso la quale è stato praticato il trattamento con sangue infetto – qualora non abbia provveduto con un proprio autonomo centro trasfusionale ed abbia utilizzato sacche acquisite tramite il servizio pubblico competente – è onerata di provare la propria condotta diligente e, cioè, di essersi concretamente accertata che il sangue trasfuso sia stato sottoposto a controlli preventivi ed effettivi da parte di quel servizio. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva escluso la responsabilità contrattuale di un ospedale in base alla sola considerazione che le sacche di sangue non provenivano da un centro trasfusionale autonomo interno all’ospedale, bensì da un centro ad esso esterno).”

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