Il dovere dei figli di contribuire ai bisogni della famiglia

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Anche grazie alla riforma del diritto di famiglia di cui alla legge 219/2012, ad oggi i figli vantano principalmente diritti nei confronti dei propri genitori, e, tra questi, un ruolo fondamentale è giocato dal diritto al mantenimento economico, di cui all’art. 315 bis comma 1 c.c..

Tuttavia, quando il figlio abbia raggiunto la propria indipendenza economica, o disponga comunque di risorse proprie, e continui a vivere assieme alla propria famiglia di origine, lo stesso è obbligato a contribuire ai bisogni del ménage familiare, in relazione alle proprie capacità e al proprio reddito, ai sensi del comma 3 della predetta norma.

Si precisa che non pare possibile predeterminare ex ante quando cessi l’obbligo di mantenimento da parte dei genitori verso la prole e sorga lo speculare dovere dei figli di contribuire alle esigenze della famiglia.

Il dovere dei figli di contribuire ai bisogni della famiglia

Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha statuito in merito ad una domanda di mantenimento avanzata da un figlio, dell’età di 33 anni, nei confronti dei genitori, condividendo il ragionamento fatto proprio dalla Corte di merito, secondo cui:

“La corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che l’obbligo di mantenimento cessa in relazione alla raggiunta capacità di mantenersi, che deve essere presunta oltre i trenta anni, quando una persona normale deve presumersi autosufficiente da ogni punto di vista, anche economico, salvi comprovati deficit, come avviene in tutte le parti del mondo” (Cass. Civ., ord. n. 17183 del 14.08.2020, in Ilcaso.it, 2021).

Alla luce di quanto espresso dalla giurisprudenza prevalente, dunque, tanto più l’età si allontana dal compimento del 18esimo anno di età tanto è più intenso il dovere del figlio di contribuire ai bisogni del proprio nucleo familiare.

Il dovere del figlio di contribuire ai bisogni della famiglia: l’obbligo e le implicazioni legali

In realtà, a ben vedere, tale dovere può sorgere anche prima del compimento della maggiore età.

Difatti, l’art. 315 bis comma 3 c.c. fa espresso riferimento all’ampio concetto di “reddito”, quale fonte di ricchezza, e non ai meri proventi derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa.

Pertanto, una declinazione del predetto obbligo di contribuzione dei figli alle esigenze del nucleo familiare è offerto dalla disciplina dell’usufrutto dei beni del figlio minorenne, il quale spetta ex lege ai genitori, chiamati appunto ad impiegarlo per rispondere alle esigenze economiche della famiglia, ai sensi dell’art. 324 c.c..

Tuttavia, al di là di tale ipotesi di applicazione piuttosto residuale, il figlio, terminato il proprio percorso di formazione scolastica e/o formativa, quando sia in grado di rispondere in modo autonomo alle proprie esigenze di vita, ove permanga a vivere assieme alla propria famiglia di origine, è comunque chiamato a fornire un apporto economico.

Ciò non si traduce concretamente nella necessità di mantenere i propri genitori, salvo che gli stessi versino in condizioni di bisogno, né, ad esempio, nell’obbligo del figlio di rispondere in via esclusiva a tutte le esigenze di gestione della casa familiare, ma nel dovere di fornire il proprio contributo, in ossequio al principio di autoresponsabilità a cui la condotta di ogni individuo, compresi i figli, deve uniformarsi ed in ossequio al più specifico dovere di solidarietà che lega le persone tra le quali sussistono vincoli familiari.

Si sottolinea che sino ad oggi la giurisprudenza non ha avuto molte occasioni in cui affrontare la predetta problematica, trattandosi, evidentemente, di ipotesi residuali.

Obbligo di contribuzione economica dei figli adulti

Tuttavia, recentemente, con una sentenza inedita, il Tribunale di Pavia ha affrontato un caso particolarmente interessante, che vedeva coinvolti due fratelli, dell’età di circa 40 anni, i quali, nonostante l’età, continuavano a coabitare con l’anziana madre, di 75 anni, a quanto consta senza provvedere in alcun modo alla contribuzione economica necessaria per rispondere ai bisogni del nucleo familiare, nonostante entrambi avessero una propria occupazione, e senza farsi carico della gestione, quantomeno parziale, della casa comune.

L’anziana madre, esasperata dalla condotta disinteressata dei figli, si è rivolta all’Autorità giudiziaria, chiedendo che gli stessi venissero allontanati dalla propria abitazione.

Il dovere dei figli di contribuire ai bisogni della famiglia

Il Tribunale di Pavia, ponendosi in continuità con la giurisprudenza della Suprema Corte, ha sottolineato come, raggiunta una determinata età, a fortiori oltre il compimento dei 30 anni, i figli non possano più aver diritto ad alcun mantenimento da parte dei genitori, e, pertanto, ha ordinato ai figli della ricorrente di lasciare la casa della madre.

Sebbene l’inedita pronuncia in esame non si esprima sul dovere dei due figli quarantenni di contribuire con i propri redditi ai bisogni del nucleo familiare, è chiaro che tale principio possa essere affermato conseguentemente, atteso che, al di là della libera e condivisa scelta di continuare a coabitare assieme ai propri genitori nonostante il trascorrere degli anni, chiunque disponga di redditi propri è chiamato ad un impegno economico nell’interesse della famiglia, in ossequio al principio di solidarietà e di autoresponsabilità che governano la materia.

Il dovere dei figli di contribuire ai bisogni della famiglia

Avv. Francesco Caretti

Dipartimento Famiglia A.L. Assistenza Legale

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