Coronavirus: come deve comportarsi il datore di lavoro?

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Guida Pratica

Domenica 23 febbraio 2020: panico e psicosi da Coronavirus nella Regione Lombardia

L’arrivo in Italia, in particolare in Lombardia, del tanto temuto Coronavirus, scientificamente chiamato COVID-19, è ormai al centro dell’attenzione dei media italiani ed internazionali dell’ultimo periodo.

I principali rischi pandemici, come noto, sono soprattutto nella frequentazione dei luoghi pubblici dove si concentrano le masse: metropolitana e mezzi di trasporto in generale, luoghi di ritrovo e luoghi destinati ad eventi (cinema, teatri, stadi, centri sportivi), scuole ed università, e ovviamente… i luoghi di lavoro.

 

Quali sono dunque le misure che devono adottare i datori di lavoro – qualunque attività essi esercitino – in una situazione come questa?

È opportuno indicare preliminarmente che, ai sensi della normativa vigente (D. lgs. 81/2008), la responsabilità di tutelare i lavoratori dal rischio biologico è in capo al datore di lavoro, con la collaborazione del medico competente.

I recenti sviluppi ci indicano come tutti i datori di lavoro debbano prendere urgenti provvedimenti, indipendentemente dal settore di appartenenza.

 

Indicazioni per gli operatori dei servizi/esercizi a contatto con il pubblico.

Già lo scorso 3 febbraio 2020, il Ministero della Salute, con circolare n.3190, ha fornito indicazioni a tutti gli operatori che per ragioni lavorative sono quotidianamente a contatto con il pubblico.

Per queste categorie in particolare, il Ministero in tale circolare prescriveva:

“Si ritiene sufficiente adottare le comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria, e in particolare:

  • lavarsi frequentemente le mani;
  • porre attenzione all’igiene delle superfici;
  • evitare i contratti stretti e protratti con persone con sintomi simil influenzali;
  • adottare ogni ulteriore misura di prevenzione dettata dal datore di lavoro.”

Ove, nel corso dell’attività lavorativa, si venga a contatto con un soggetto che risponde alla definizione di caso sospetto, il Ministero prescrive di contattare i servizi sanitari segnalando che si tratta di caso sospetto per nCoV. Nell’attesa dell’arrivo dei sanitari, queste le istruzioni:

  • “evitare contatti ravvicinati con la persona malata;
  • se disponibile, fornire una maschera di tipo chirurgico;
  • lavarsi accuratamente le mani. Prestare particolare attenzione alle superfici corporee che sono venute eventualmente in contatto con i fluidi (secrezioni respiratorie, urine, feci) del malato;
  • far eliminare in sacchetto impermeabile, direttamente dal paziente, i fazzoletti di carta utilizzati. Il sacchetto sarà smaltito in uno con i materiali infetti prodottisi durante le attività sanitarie del personale di soccorso.”

Il Ministero invitava tutti i datori di lavoro coinvolti in servizi/esercizi a contatto con il pubblico a diffondere tali misure ai propri lavoratori dipendenti.

 

I recenti sviluppi portano a misure ulteriori per i datori di lavoro.

Coinvolte anche le grandi aziende e le attività commerciali

Tuttavia, alla data del 24 febbraio 2020, la situazione di contagi in Lombardia è degenerata drasticamente, arrivando ad un numero di persone positive ai test che sfiora il centinaio, pertanto i datori di lavoro hanno adottato misure aggiuntive rispetto a quelle già prescritte dalla circolare n. 3190 del Min. Salute, che in ogni caso rimangono valide ed obbligatorie.

Infatti, vi sono stati casi di contagio in aziende con elevatissimo numero di lavoratori dipendenti, motivo per cui le multinazionali lombarde si devono celermente aggiornare.

In data 23 febbraio 2020 è stato infatti emanato il Decreto Legge n.6 del 23.02.2020 “Misure Urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da CODIV-19”, emanato appositamente per fronteggiare l’emergenza contagi nei seguenti comuni: Codogno, Castiglione D’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano.

In tale Decreto Legge, in ragione dell’emergenza sanitaria in corso, si prescrive ai cittadini il divieto di accesso a tali comuni. Per i residenti dei comuni indicati invece, è prescritto il divieto di allontanamento.

Inoltre, è fatto divieto di ogni forma di riunione, pubblica o privata, sia questa ludica, religiosa, sportiva, culturale, anche in luoghi chiusi al pubblico. Sono peraltro sospese: attività scolastiche, attività universitarie, luoghi culturali (musei, cinema, teatri).

Il Decreto, in merito alle imprese, è chiarissimo: “sospensione delle attività lavorative per le imprese, ad esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare;

sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorative nel comune o nell’area interessata nonché delle attività lavorative degli abitanti di detti comuni o aree svolte al di fuori del comune o dall’area indicata, salvo specifiche deroghe, ai limiti e alle modalità di svolgimento del lavoro agile.”

Alle sopra menzionate istruzioni per i datori di lavoro, si aggiunge un’ulteriore ordinanza del Ministero della Salute d’intesa con il Presidente della Regione Lombardia, emanata nella giornata di ieri, 23 febbraio 2020.

Tale ordinanza, facendo salvo quanto già previsto per i comuni indicati, aggiunge ulteriori istruzioni per chi conduce attività commerciali.

Le stesse infatti subiranno le seguenti restrizioni, attualmente valide sino al 1 marzo 2020, salvo ulteriore proroga:

  • Bar, locali notturni e esercizi di intrattenimento: chiusura dalle ore 18 alle ore 6.00.
  • Esercizi commerciali all’interno di centri commerciali e mercati: chiusura totale nelle giornate di sabato e domenica, ad eccezione dei negozi di generi alimentari.
  • Manifestazioni fieristiche: chiusura.

 

L’applicazione del lavoro agile nelle aree a rischio

Tra le misure di contenimento sopra indicate, si aggiunge l’applicazione del “lavoro agile”, o “smart working”, adottato d’urgenza dalla maggior parte delle aziende, piccole e grandi, milanesi e lombarde, che nel week end del 22 e 23 febbraio hanno prontamente inviato via mail ai propri dipendenti una comunicazione invitando i lavoratori a lavorare da casa sino alla fine della settimana.

Tale misura era in un primo momento contenuta all’Articolo 3 del Decreto Del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 febbraio 2020:

“La modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 è applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.

Tali disposizioni sono tuttavia già state superate dall’Articolo 2 del Decreto Del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 febbraio 2020, che indica la soppressione del precedente Art. 3 del Decreto del 23 febbraio 2020, eliminando l’automaticità dell’applicazione del lavoro agile, rimettendo pertanto tale disposizione alla decisione del datore di lavoro.

In particolare, si legge:

“1. La modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017,  n.  81, è applicabile in via provvisoria, fino al 15 marzo 2020, per i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e per i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da tali territori, a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti.

Gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro.

  1. L’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2020 è soppresso.

 

Dipendenti in trasferta o trasferiti nelle aree a rischio

Che fare invece se l’azienda ha disposto trasferimento o trasferta di propri dipendenti nelle zone a rischio?

Anche in questi casi, ovviamente il datore ha in ogni caso l’obbligo generale di tutelare la salute dei propri lavoratori dipendenti.

Nei casi di distacco o di trasferta, situazioni dove il dipendente è temporaneamente all’estero oppure in un luogo diverso dal suo luogo di abituale prestazione di lavoro, una soluzione potrebbe essere quella di agevolare il rientro del lavoratore per limitare l’esposizione nell’area a rischio e quindi evitare il suo contagio.

Per i lavoratori che rientrano in questi giorni dalla Cina, o più in generale dalle aree a rischio così come segnalate dal Ministero della Salute, è opportuno che il datore di lavoro preveda un periodo di lavoro agile successivamente al rientro.

 

Normale retribuzione ove il datore scelga la sospensione dal lavoro

È bene chiarire che in ogni caso, i datori di lavoro possono decidere in modo unilaterale di disporre la sospensione temporanea dell’attività lavorativa.

Tuttavia, in questi casi, essendo tale sospensione non legata a cause dipendenti dai lavoratori, la retribuzione degli stessi non subirà modifica alcuna.

 

Servizi pubblici essenziali ed esercizi commerciali di beni di prima necessità

Ovviamente sono state date disposizioni anche per chi lavora nell’ambito dei servizi pubblici essenziali e chi lavora negli esercizi commerciali che vendono beni di prima necessità.

Il sopracitato Decreto Legge del 22 febbraio, si occupa di queste due ipotesi, stabilendo:

k) chiusura o limitazione  dell’attività’  degli  uffici  pubblici, degli esercenti attività di pubblica  utilità  e  servizi  pubblici essenziali di cui agli articoli 1 e 2 della legge 12 giugno 1990,  n. 146, specificamente individuati;

 

  1. l) previsione che l’accesso ai servizi pubblici essenziali e  agli esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima  necessità  sia condizionato all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale  o all’adozione   di   particolari   misure   di   cautela   individuate dall’autorità’ competente;”

 

Chiariamo innanzitutto le differenze tra “servizi di pubblica utilità e servizi pubblici essenziali” e “esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità”.

I primi, definiti agli articoli 1 e 2 l. 146 del 12 giugno 1990, sono “considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.”

In particolare:

  1. a) stato civile e servizio elettorale;
  2. b) igiene, sanità ed attività assistenziali;
  3. c) attività di tutela della libertà della persona e della sicurezza pubblica;
  4. d) produzione e distribuzione di energia e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi;
  5. e) raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali;
  6. f) trasporti;
  7. g) servizi concernenti l’istruzione pubblica;
  8. h) servizi del personale;
  9. i) servizi culturali.

 

Sono invece “esercizi commerciali per l’acquisto di beni di prima necessità”, quelli dove vengono prodotti e/o distribuiti i beni alimentari e non alimentari indispensabili alla vita quotidiana e non sostituibili con altri prodotti diversi.

I lavoratori impiegati nei servizi essenziali – si legge nell’ordinanza e nelle successive indicazioni del Ministero della Salute – sono ammessi al lavoro previa verifica quotidiana dello stato di salute, con riguardo ai sintomi e segni della COVID19 a cura dei datori di lavoro.

La valutazione in merito al mantenimento e/o alla modifica delle presenti misure viene quotidianamente effettuata congiuntamente dal Tavolo di coordinamento di Regione Lombardia congiuntamente con le Autorità centrali.

 

 

Come gestire i lavoratori che non vanno al lavoro

Quarantena obbligatoria: qualora un dipendente dell’azienda presenti i sintomi da Coronavirus, sarà opportuno intimargli di stare a casa per un periodo di almeno due settimane di osservazione.

Si tratta di un evento paragonabile ad altri casi di ricovero per patologie.

In tale caso, sotto la disciplina giuslavorista, la sua assenza deve essere disciplinata sotto le previsioni e gli istituti della malattia, con ovvia tutela e diritto al mantenimento del proprio posto di lavoro.

Quarantena volontaria: ove il lavoratore non presenti sintomi, ma decida di stare a casa in via prudenziale, nelle aree ricomprese dall’ordinanza sopracitata, si tratterebbe di un comportamento di oggettiva prudenza, ed il datore di lavoro non avrebbe giustificato motivo di provvedere a richiamo disciplinare.

 

Attenzione però: La paura non è tutelata

Se il lavoratore invece non si reca a lavoro per mera paura, e non perché riceve indicazioni in tal senso dalle autorità (o dal datore di lavoro), allora in questo caso non vi è giustificatezza del rifiuto di recarsi presso il posto di lavoro.

In tal caso, pertanto si configura una vera e propria assenza ingiustificata dal posto di lavoro, circostanza che consente al datore di provvedere disciplinarmente.

Avv. Cristiano Cominotto

Dott.ssa Arianna Pagnoncelli

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