Morto per fumo passivo in carcere: condanna storica

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Morto per fumo passivo in carcere: condanna storica

Ministero della Giustizia condannato a risarcire un milione di euro per la morte per fumo passivo di un agente penitenziario in carcere. Morto per fumo passivo in carcere: condanna storica.

La sentenza, emessa dal Tribunale di Lecce, riconosce il nesso causale tra l’esposizione al fumo passivo durante le ore di lavoro e il tumore ai polmoni contratto dal poliziotto. Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria della Puglia (Sappe) ha accolto la sentenza come un primo passo verso la giustizia, ma ha sottolineato la necessità di interventi urgenti per proteggere la salute dei poliziotti.

Il Sappe richiede l’installazione di aeratori nelle sezioni detentive, il riconoscimento delle patologie connesse al fumo passivo come cause di servizio, l’assegnazione di presidi sanitari e un’indennità specifica per i poliziotti esposti al rischio sanitario. La vicenda tragica dell’agente penitenziario non fumatore, deceduto per tumore ai polmoni, solleva importanti questioni sulla tutela della salute dei dipendenti nelle strutture penitenziarie. Il Sappe invoca un intervento immediato del presidente della Repubblica e del Ministro della Giustizia per garantire gli adeguati risarcimenti e implementare misure preventive efficaci.

La “legge Sirchia”

Il 16 gennaio di vent’anni fa veniva approvata una delle norme più coraggiose in tema di salute pubblica, la legge n. 3/2003, che all’articolo n.51 disciplinava la “Tutela della salute dei non fumatori”, anche nota come “legge Sirchia”. Girolamo Sirchia era l’allora Ministro della Salute, che riuscì a condurre in porto quella che per diversi anni era sembrata un’impresa: affermare il diritto delle persone di non essere esposte al fumo passivo.

Morto per fumo passivo in carcere: condanna storica

La norma del 2003 sarebbe entrata in vigore soltanto il 10 gennaio 2005. Il bando antifumo si proponeva di proteggere la salute dei non fumatori in tutti i luoghi chiusi. «È vietato fumare nei locali chiusi, ad eccezione di:

a) quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico;

b) quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati».

Niente più fumo passivo obbligato, quindi, alla macchinetta del caffè in ufficio, al bancone del bar, in pizzeria, sui treni. Oltre al divieto di fumo, dovevano essere affissi cartelli appositi, identificati i responsabili dell’applicazione della norma, previste multe per i fumatori che la violavano e per gli esercenti inadempienti, fissati stretti criteri per le aree fumatori, dove consentite (ventilazione, superfici, collocazione, barriere, segnalazioni).

Morto per fumo passivo in carcere: condanna storica

I dati

Oggi queste tutele sembrano scontate, ma il passaggio non fu banale e la legge n.3 accompagnò alcuni importanti cambiamenti nella società italiana. Nel 2003 fumava il 27,6 per cento degli italiani e i pacchetti di sigarette costavano 3-4 euro.

Contrariamente alle più fosche aspettative, quando i nuovi limiti entrarono in vigore, nel 2005, la gente non smise di uscire per mangiare, bere e incontrarsi.

Ma si adattò e, anzi, accolse la misura con favore. Un’indagine dell’Istituto superiore di sanità sui proprietari di pub e ristoranti rilevò che dopo l’entrata in vigore della legge antifumo solo il 2 per cento aveva registrato proteste da parte dei clienti, favorevoli nel 76 per cento dei casi, e solo l’11% aveva riportato perdite finanziarie significative. Nel 2005, il 90 per cento degli italiani intervistati si dichiarava a favore dei limiti al fumo nei luoghi chiusi e nel 2006 l’88 per cento riteneva che la norma fosse rispettata senza problemi.

Questa tendenza si è rafforzata nel tempo ed è cambiata anche la percezione del fumo nei luoghi privati: nel 2008 il 70 per cento degli italiani dichiarava di non consentire il fumo in casa, in nessuna stanza, nel 2021 la percentuale era salita all’88,6 per cento. Nel 2016 la ministra Beatrice Lorenzin varò ulteriori divieti a tutela dei minori (il divieto di fumo in auto con bambini, nelle pertinenze esterne degli ospedali e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pediatrici, nonché nelle pertinenze esterne dei singoli reparti pediatrici, ginecologici, di ostetricia e neonatologia. Negli anni successivi, molte amministrazioni locali, compreso il comune di Milano, hanno deciso di estendere le tutele con provvedimenti peer la salute e/o per la qualità dell’aria.

Risarcimento danni fumo passivo: guida legale

Se un individuo è vittima del fumo passivo e desidera richiedere un risarcimento danni, ci sono alcune azioni da intraprendere. In primo luogo, è fondamentale raccogliere prove solide che dimostrino l’esposizione al fumo passivo e i danni subiti. Queste prove possono includere testimonianze, documentazione medica e registrazioni di incidenti correlati. Successivamente, è consigliabile consultare un avvocato specializzato in casi di lesioni personali o diritti dei consumatori. L’avvocato fornirà una valutazione legale del caso e guiderà il richiedente attraverso il processo di richiesta di risarcimento, compresi i tempi e le procedure legali specifiche da seguire.

Morto per fumo passivo in carcere: condanna storica.

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