Mobbing: dalle origini al jobs act

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Mobbing dalle origini al Jobs ActMutuato dal vocabolario specifico di etologia, il mobbing rappresenta, in tale contesto, il comportamento di un branco di animali che assalgono e circondano un loro simile al fine di allontanarlo dal gruppo.

  • Mobbing: in origine nasce come realtà sociale per poi diventare un fenomeno giuridico

Il mobbing nasce quindi come realtà sociale per poi essere trasferito come fenomeno giuridico all’interno dell’ordinamento: le prime definizioni di mobbing provengono difatti da psicanalisti e psicologi prima che da giudici e leggi. La psicanalista francese Marie-France Hirigoyen definisce il mobbing come un “comportamento abusivo che minaccia, con la sua ripetizione o la sua sistematizzazione, la dignità o l’integrità psichica o fisica di una persona, mettendo in pericolo il suo posto di lavoro o degradando il clima di lavoro”. Similmente Harald Ege afferma che “il mobbing è una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori”.

  • Le forme in cui si manifesta il fenomeno vessatorio – Il mobbing verticale e quello orizzontale, individuale o collettivo, diretto o indiretto

Le forme in cui si manifesta il fenomeno variano dalla semplice esclusione ed emarginazione del soggetto al vero e proprio sabotaggio del suo lavoro attraverso azioni anche illegali, dalla diffusione continua di maldicenze all’attribuzione di mansioni e compiti dequalificanti. Numerose sono inoltre le tipologie di mobbing individuate in base alle caratteristiche del caso concreto: mobbing verticale (ascendente e discendente) od orizzontale, individuale o collettivo, emozionale, strategico, diretto o indiretto.

  • In mancanza di una normativa specifica sul mobbing si è dovuti ricorrere all’interpretazione ed applicazione di norme già esistenti

Tutt’oggi non esiste una normativa specifica sul mobbing, di conseguenza si è dovuti ricorrere all’interpretazione e all’applicazione di norme già esistenti per poter tutelare i lavoratori vittime di tali condotte. Così, a fronte di comportamenti vessatori provenienti dal datore di lavoro, si potrà far riferimento alla disciplina inerente agli obblighi contrattuali di lavoro ex art. 2087 cc. e ex art. 2103 cc., mentre nel caso in cui gli stessi comportamenti provengano da colleghi o da altre figure diverse dal datore, ci si dovrà rifare principalmente all’articolo 2043 cc. e dunque alla responsabilità extracontrattuale.

  • I primi riconoscimenti giurisprudenziali intervenuti nel 1999 ad opera del Tribunale di Torino

Crisi depressiva mobbing

Il primo riconoscimento giurisprudenziale del termine mobbing si è avuto nel 1999 ad opera del Tribunale di Torino che ha riconosciuto il risarcimento del danno biologico sofferto dall’attrice (crisi depressiva) a seguito dei comportamenti di emarginazione subiti nell’ambiente di lavoro. Conseguenza immediata è stata la moltiplicazione esponenziale di cause per mobbing e la nascita delle prime definizioni del fenomeno ad opera delle corti e dei giudici che ne hanno evidenziato via via caratteristiche ed elementi essenziali.

  • Il mobbing è stato riconosciuto anche dall’INAIL con la circolare 71/2003

Ascrivibile alla categoria delle malattie professionali non tabellari a rischio generico (rispetto alle quali il lavoratore deve provare sia l’esistenza della malattia che il nesso eziologico tra questa e l’attività lavorativa per poter godere della tutela assicurativa dell’INAIL), il mobbing viene riconosciuto espressamente dall’INAIL con la circolare 71/2003 avente ad oggetto i disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, il rischio tutelato e la diagnosi di malattia professionale. Tali disturbi psichici, a detta della circolare, “possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati da specifiche e particolari condizioni […] situazioni definibili con l’espressione costrittività organizzativa”. Le situazioni più ricorrenti venivano dunque riportate ed elencate dalla circolare, comportando, di fatto, una trattazione rigida e puntigliosa propria delle malattie “tabellari” a cui si aggiungeva, peraltro, la previsione dell’obbligatorietà di indagini ispettive d’ufficio. Così il TAR Lazio, con la sentenza 5454/2005, annulla la circolare in quanto con essa l’INAIL “al di là del suo nomen juris, non farebbe che dettare prescrizioni sulla definizione e la diagnosi del mobbing, di fatto elevandolo a vera e propria malattia professionale tipizzata. Sicché essa esulerebbe dalla natura meramente ricognitiva ed esplicativa propria delle circolari, assumendo statuizioni conformative, ad effetto immediato, nei confronti dei poteri degli ispettori dell’ente medesimo e contro la sfera giuridica degli imprenditori, così da renderla immediatamente impugnabile”.

  • Demansionamento e dequalificazione possono essere considerate forme di mobbing?

Demansionamento dequalificazioneTra i fattori propri del mobbing è pacifico farvi rientrare il demansionamento e la dequalificazione. Proprio di demansionamento si è occupato di recente il Governo nel d.lgs. n. 81/2015 che, all’art. 3, detta la nuova disciplina delle mansioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 7 della Legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act), riformulando in parte l’articolo 2103 del codice civile. In breve, non è possibile adibire il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto se non in caso di una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore ovvero in caso di ipotesi previste dai contratti collettivi. È inoltre prevista la facoltà di stipulare davanti alle commissioni di certificazione accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.

  • Se anche il Jobs Act prevede la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui è stato assunto, va valutato caso per caso se non vi siano intenti illeciti sottesi

Sulla carta, dunque, tale nuova disciplina non dovrebbe poter essere utilizzata contro il lavoratore. In pratica, tuttavia, potrebbero verificarsi situazioni di apparente intesa e accordo tra lavoratore e datore al fine di ottenere un demansionamento legittimo ex art. 2103 cc., che celano in realtà un ricatto di licenziamento e un fine vessatorio operato dal datore di lavoro o ancora realtà in cui, a fronte di una effettiva necessità di modifica degli assetti organizzativi aziendali da parte del datore, lo stesso opera un legittimo demansionamento nei confronti di un suo dipendente già vittima, però, di altre condotte vessatorie. In quest’ultimo caso non è da escludere che il demansionamento, per quanto in sé astrattamente legittimo, sia da considerare una condotta illecita: andandosi ad aggiungere ad una prolungata serie di comportamenti vessatori, potrebbe essere considerato come ulteriore vulnus al lavoratore.

Avv. Cristiano Cominotto

Dott. Francesco Curtarelli

www.alassistenzalegale.it

AL Assistenza Legale – Risarcimento danni da mobbing

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