Risarcimento da danno ambientale: ascolta l’intervista dell’ avv. Cristiano Cominotto a Radio Lombardia e leggi l’articolo correlato.
La periodicità con cui si verificano disastri ambientali con tutti i pregiudizi che ne derivano per l’ecosistema e gli abitanti dei luoghi circostanti, impone una breve disamina degli strumenti normativi che dovrebbero garantire un’adeguata tutela per il risarcimento da danno ambientale.
Si pensi alla terra dei fuochi del Nord Italia dove, durante i lavori per la costruzione della Tav tra Milano e Venezia, è emersa nel sottosuolo la presenza di scorie di fonderia e veleni pericolosissimi.
Una preliminare definizione di danno all’ambiente può desumersi dalla L. n. 349/1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente, che lo definisce come “compromissione dell’ambiente attraverso un qualsiasi fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge”.
Esso concretamente consiste nel “deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale, da intendersi come lesione o alterazione di un bene giuridico superindividuale collettivo autonomo, che si estrinseca nelle singole risorse naturali che popolano il pianeta e nelle utilità che l’uomo può trarre da esse, e che quindi prescinde dal danno alle singole sfere giuridiche soggettive individuali (proprietà e salute)”.
Un significativo passo in avanti nel nostro ordinamento si è avuto con il recepimento della Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e risarcimento da danno ambientale, con cui il legislatore nazionale ha rafforzato la normativa, recependo un principio fondamentale di diritto internazionale, tradizionalmente noto come “chi inquina, paga”.
La caratteristica fondamentale del modello di responsabilità per danno ambientale così delineatosi è dato dal fatto che l’obbligo di risarcimento da danno ambientale in capo all’agente che abbia commesso il fatto illecito o che abbia omesso le attività o le misure di prevenzione, si pone come conseguenza non solo di una condotta colposa “con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, o dolosa, ma quale conseguenza di una ulteriore “violazione di legge, di regolamento o di provvedimento amministrativo”.
Quanto agli effetti pratici, se da un parte la legge italiana prevede che nei processi per reati contro l’ambiente, volti ad ottenere il risarcimento da danno ambientale, la competenza a esperire l’azione risarcitoria sia riservata in maniera esclusiva allo Stato nella persona del Ministero dell’Ambiente, dall’altra il settimo comma dell’art. 317 del D.lgs 152/2006, che raccoglie in un T.U. le norme in materia ambientale, ha riconosciuto il diritto dei soggetti danneggiati da un fatto produttivo del danno ambientale, di agire in giudizio nei confronti del responsabile del danno a tutela dei diritti e degli interessi lesi.
In tal senso è intervenuta la Cass. Pen., Sez. III 633/2012 che ha definitivamente cristallizzato un principio di diritto fondamentale secondo cui tale potere spetta anche a tutti gli altri soggetti interessati, singoli o associati, compresi gli enti pubblici territoriali, i cui diritti siano stati lesi da un danno prodotto all’ambiente.
Il diritto ad intervenire in un giudizio per ottenere il risarcimento da danno ambientale così come di qualsiasi altro danno patrimoniale, trova fondamento nell’art. 2043 c.c. purché chi intenda agire dia prova di aver subito da tale condotta, una lesione di un proprio diritto fondamentale quale ad esempio il diritto alla salute, cui fa espresso richiamo l’art. 32 della Costituzione. Ma non solo! I pregiudizi patiti dai privati, oltre che di natura biologica e patrimoniale, possono riguardare anche la mera qualità della vita. Difatti, secondo un indirizzo che ha trovato il consenso delle Sezioni Unite della Cassazione, (Cass. Sez. Un. 21 febbraio 2002, n. 2515), in caso di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo è risarcibile anche il danno morale soggettivo subito da chi abita o lavora in un certo contesto, purché si dia prova in concreto di aver subito un turbamento psichico di natura transitoria a causa dell’esposizione a sostanze inquinanti e alle conseguenti limitazioni al normale svolgimento della vita.
In tema di riparazione del danno da illecito aquiliano la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di esperire di fronte ad un fatto costitutivo di un danno il rimedio d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.
Avv. Cristiano Cominotto
Avv. Raffaele Moretti
AL Assistenza Legale
Risarcimento da danno ambientale