- Parliamo questa volta della figura dell’hosting provider, espressione inglese ormai entrata nell’uso per indicare il prestatore di servizi che svolge attività di memorizzazione delle informazioni fornite dagli utenti e che vengono poi lette sui siti Web.
Lo spunto mi è dato dalla sentenza n. 7708 del 19 marzo di quest’anno 2019 della la prima sezione civile della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso della soc. RTI del Gruppo Mediaset nei confronti di Yahoo. Tale sentenza ha infatti dettato alcune fondamentali indicazioni proprio in tema di responsabilità dell’hosting provider.
La Suprema Corte riconosce che la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha da tempo accolto la nozione di «hosting provider attivo», riferita a tutti quei casi in cui un prestatore di servizi della società dell’informazione svolga “un ruolo attivo” nella prestazione dei propri servizi. Vale a dire che l’hosting provider attivo che, come tale, si sottrae al regime di limitazione della responsabilità previsto dall’articolo 14 “Hosting” della Direttiva 2000/31/CE, è figura configurabile in presenza di “indici di interferenza” dello stesso con i contenuti memorizzati; individuati dalla Corte, “a titolo esemplificativo”, in “attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione”: tutte condotte che hanno in pratica l’effetto di completare e arricchire la fruizione dei contenuti da parte degli utenti.
Con la conseguenza che l’hosting attivo concorre appunto “attivamente” nell’illecito commesso da terzi. In tal caso le regole sulla responsabilità civile applicabili sono quelle comuni nel caso che il provider abbia avuto la conoscenza effettiva, o la ragionevole possibilità di conoscere, dell’illiceità del fatto altrui. Ma anche il provider “passivo”, prosegue la Corte, è passibile di forme di responsabilità, anche di tipo risarcitorio qualora ricorrano determinate condizioni. Il fatto compiuto dal terzo deve anzitutto essere “illecito”, quale certamente è la lesione dei diritti d’autore.
Si configura poi una responsabilità risarcitoria quando, in presenza di una illiceità “manifesta” (art. 14 lett. a) dir. cit.) – che ricorre quando “sarebbe possibile riscontrarla senza particolare difficoltà, alla stregua dell’esperienza e della conoscenza tipiche dell’operatore del settore e della diligenza professionale da lui esigibile, così che non averlo fatto integra almeno una grave negligenza dello stesso” -, il provider consapevole abbia omesso di attivarsi per la rimozione del contenuto: la Corte di cassazione chiarisce quindi che si versa in tal caso in fattispecie di responsabilità per fatto proprio colpevole.
Il momento in cui il provider passivo ha «conoscenza effettiva» dell’altrui illecito “coincide con l’esistenza di una comunicazione in tal senso operata dal terzo” titolare del diritto leso, con l’importante precisazione che tanto “non richiede una “diffida” in senso tecnico (…), essendo sufficiente una mera comunicazione o notizia dell’illecito”. La Cassazione ha anche chiarito che la detta conoscenza può essere acquisita dal provider in qualunque modo (“aliunde”) e che non è affatto necessario un ordine dell’autorità giudiziaria (come invece pretendeva la Yahoo!).
La Suprema Corte ha anche chiarito la portata dell’art 17 “Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza” D.lgs. n. 70 del 2003 che, come noto, esclude in capo al provider un obbligo di sorveglianza generale e costante su dati immessi dagli utenti: ma con l’importante precisazione che egli “risponde dei danni cagionati, allorché, reso edotto di quei contenuti – vuoi dal titolare del diritto, vuoi aliunde – non si sia attivato per la immediata rimozione dei medesimi”. Con la conseguenza che il principio che ne deriva è nel senso di sancire “un regime di irresponsabilità del prestatore sino al limite del suo diretto coinvolgimento”, per l’hosting attivo, “oppure della sua conoscenza dell’illecito per l’hosting passivo. In sostanza, ai sensi dell’art. 16 D.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, l’hosting provider – anche quando non è attivo – risponde dei danni verso il titolare dei diritti d’autore violati quando non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti o quando abbia continuato a pubblicarli, se ricorrono queste tre condizioni:
1) sia a conoscenza legale dell’illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure in altro modo;
2) l’illiceità dell’altrui condotta sia ragionevolmente constatabile, onde il prestatore sia in colpa grave per non averla positivamente riscontata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della Rete in un determinato momento storico;
3) l’hosting provider abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere.
Quindi l’onere di allegazione e di prova può essere precisato nel senso che “spetta al titolare del diritto leso allegare e provare, a fronte dell’inerzia dell’hosting provider passivo, la conoscenza di questi in ordine all’illecito compiuto dal destinatario del servizio, indotta dalla stessa comunicazione del titolare del diritto leso o aliunde, nonché di indicare gli elementi che rendevano manifesta detta illiceità; assolto tale onere, l’inerzia del prestatore integra di per sé la responsabilità, a fronte dell’obbligo di attivazione posto dal menzionato art. 16 del d.lgs. n. 70 del 2003, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, possibilità che sussiste se il prestatore è munito degli strumenti tecnici e giuridici per impedire le violazioni (ad es., per il potere di autotutela negoziale al medesimo concesso in forza del contratto concluso con il destinatario del servizio)”.
Restano salve, nel corso del processo, le misure inibitorie che il giudice può adottare per non solo di porre fine alle violazioni già commesse ma anche per prevenire la pubblicazione di ogni altro futuro contenuto che violi il diritto d’autore.
Avv. Giovanni Bonomo – Diritto 24
La responsabilità dell’hosting provider per la violazione dei diritti d’autore, articolo di Giovanni Bonomo