Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive: una tutela meno estesa rispetto agli altri lavoratori

Tu sei qui:

INDICE – Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive

Introduzione

Il quadro normativo e giurisprudenziale

Le ragioni oggettive del licenziamento del dirigente

L’inapplicabilità del reimpiego (repechage)

L’onere della prova

Introduzione

Il licenziamento di un dirigente rappresenta una situazione particolare nel panorama del diritto del lavoro italiano. A differenza degli altri lavoratori, il dirigente gode di una tutela limitata in caso di licenziamento per ragioni oggettive.

Questo articolo si propone di approfondire questo aspetto, analizzando le caratteristiche del licenziamento del dirigente e le differenze rispetto alle altre categorie di lavoratori.

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive

Il quadro normativo e giurisprudenziale

La disciplina del licenziamento del dirigente trova il suo fondamento nell’art. 2118 del Codice Civile, che prevede la possibilità per entrambe le parti (datore di lavoro e lavoratore) di recedere dal contratto a tempo indeterminato nel rispetto del preavviso. Tuttavia, questa disposizione viene integrata dalla Legge 604/1966, che introduce i concetti di giusta causa e giustificato motivo per il licenziamento.

La giurisprudenza ha elaborato una nozione di “giustificatezza” del licenziamento per i dirigenti, che include le ragioni “inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa”. Queste vengono considerate formalmente come il giustificato motivo oggettivo previsto dalla Legge 604/1966.

Le ragioni oggettive del licenziamento del dirigente

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive è un argomento ampiamente discusso nella giurisprudenza italiana. Secondo il Codice Civile italiano, all’articolo 2118, il datore di lavoro può licenziare un dipendente in qualsiasi momento, purché vi siano “giustificati motivi” per farlo. Nel caso specifico dei dirigenti, la Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori) all’articolo 18 stabilisce che il licenziamento è consentito solo per “giusta causa” o “giustificato motivo”.

La giurisprudenza ha individuato alcune specifiche fattispecie che possono costituire ragioni oggettive per il licenziamento del dirigente, come la cessazione dell’attività, la soppressione della posizione del dirigente e la ristrutturazione o riorganizzazione aziendale. Tali situazioni rientrano nel concetto di “giustificato motivo oggettivo” ai sensi della normativa italiana.

In questi casi, il licenziamento per ragioni oggettive è considerato insindacabile, purché sussista un nesso causale tra le esigenze aziendali e il licenziamento del dirigente. Il dirigente può solo verificare l’esistenza di questo nesso di causalità, senza poter contestare la legittimità delle ragioni organizzative addotte dal datore di lavoro.

Secondo la Legge 604/1966, il datore di lavoro è tenuto a comunicare per iscritto al lavoratore i motivi del licenziamento. Il dirigente licenziato per ragioni oggettive può inoltre richiedere al giudice del lavoro di valutare la correttezza della procedura seguita e l’esistenza effettiva del nesso causale tra le esigenze aziendali e il suo licenziamento.

Complessivamente, la giurisprudenza e la normativa italiana riconoscono al datore di lavoro un ampio margine di discrezionalità nella gestione del personale dirigenziale, purché le motivazioni addotte siano effettivamente legate a esigenze organizzative e gestionali aziendali.

Tuttavia, il dirigente mantiene il diritto di verificare il rispetto delle procedure e l’effettiva sussistenza dei presupposti per il licenziamento.

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive

L’inapplicabilità del reimpiego (repechage)

Il reimpiego (o repechage) è una tutela che impone al datore di lavoro di cercare una soluzione alternativa al licenziamento, offrendo al lavoratore un’altra mansione equivalente a quella svolta. Questa tutela è prevista dall’articolo 2103 del codice civile e si applica ai lavoratori subordinati, esclusi i dirigenti.

Per i dirigenti, infatti, il reimpiego non è applicabile, in quanto il loro rapporto di lavoro è basato su un rapporto fiduciario e su una elevata autonomia e responsabilità. Il datore di lavoro non è quindi obbligato a verificare se esiste una posizione alternativa idonea al dirigente prima di licenziarlo per ragioni oggettive.

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive

Questa differenza di trattamento tra i dirigenti e gli altri lavoratori è stata confermata dalla giurisprudenza, che ha ritenuto che l’istituto del reimpiego sia incompatibile con la natura del rapporto di lavoro dirigenziale.

In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5468 del 2018, ha stabilito che il reimpiego non è un dovere del datore di lavoro, ma una facoltà discrezionale, che può essere esercitata solo se il dirigente accetta la proposta di una nuova posizione.

L’onere della prova

In caso di impugnazione del licenziamento, l’onere di provare la legittimità del recesso spetta al datore di lavoro, che dovrà dimostrare l’esistenza delle ragioni oggettive e il nesso causale con il licenziamento del dirigente. Questo onere è sancito dall’articolo 2697 del codice civile, secondo cui “chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.

Tuttavia, la giurisprudenza prevalente ha affermato che, per i dirigenti, è sufficiente la sola dimostrazione dell’avvenuta riorganizzazione aziendale e del coinvolgimento della posizione del dirigente, senza necessità di provare l’impossibilità di un suo reimpiego. Questa semplificazione dell’onere probatorio si basa sul principio di ragionevolezza, che impone al giudice di valutare le circostanze del caso concreto e di tenere conto della natura e delle caratteristiche del rapporto di lavoro dirigenziale.

Inoltre, la giurisprudenza ha riconosciuto al datore di lavoro una discrezionalità tecnico-organizzativa nel determinare le modalità e i criteri di attuazione della ristrutturazione aziendale, purché non siano irragionevoli, discriminatori o arbitrari.

In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18338 del 2019, ha affermato che “la scelta del datore di lavoro di licenziare il dirigente non è sindacabile dal giudice, salvo che sia dimostrata l’insussistenza della causa oggettiva addotta o l’irragionevolezza della stessa”.

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive si caratterizza per una tutela meno estesa rispetto agli altri lavoratori. La giurisprudenza ha elaborato una nozione di “giustificatezza” del licenziamento che consente al datore di lavoro una maggiore discrezionalità nell’attuare ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali.

Il licenziamento del dirigente per ragioni oggettive

Hanno parlato di noi

Contattaci

Lunedì – Venerdì: 9.00 – 13.00 / 14.30 – 19.00

Lunedì – Venerdì:
9.00 – 13.00 / 14.30 – 19.00

image_pdf Scarica articolo in formato PDF