Benché una barriera territoriale al diritto all’oblio non avrebbe senso nell’attuale società globale dell’informazione, la Corte di giustizia UE ha dato ragione a Google, che potrà limitare la deindicizzazione delle notizie lesive della privatezza e dell’identità sociale dei richiedenti la cancellazione al perimetro della Unione Europea.
Ci siamo occupati del diritto all’oblio, figura giuridica di origine giurisprudenziale poi recepita dal legislatore europeo, in due occasioni.
La prima per tracciarne per delinearne l’origine e i riferimenti normativi a proposito del giornalismo digitale e del dovere di aggiornamento degli archivi giornalistici, la seconda a proposito del perenne conflitto tra privatezza e identità, anche sociale, di una persona e il diritto all’informazione della cittadinanza.
Nel secondo articolo abbiamo spiegato le ragioni per cui, secondo l’indirizzo della Corte di giustizia UE, ripreso dalla nostra Autorità garante per la protezione dei dati personali, prevale, nella soluzione del conflitto, il diritto all’informazione ogni qual volta l’interesse pubblico alla notizia sia ancora attuale con riferimento a vicende giudiziarie che, anche se concluse da tempo, abbiano destato un particolare allarme sociale che resta ancora impresso e vivo nell’opinione pubblica.
Si pone poi il problema della regolamentazione interna del “diritto all’oblio” negli Stati membri e dell’uniformità di tale regolamentazione, perché il diritto all’oblio, in linea di principio, non dovrebbe avere confini nazionali né continentali nell’attuale società globale dell’informazione.
Il problema si è posto quattro anni fa in una vicenda giudiziaria che vedeva il colosso dei motori di ricerca Google multato dalla Commission nationale de l’informatique et des liberté, corrispondente alla nostra Autorità garante per la privacy, per non aver rimosso dalle ricerche condotte su scala globale come da indicazioni della stessa, alcuni contenuti riguardanti un utente che si considerava leso nel proprio “diritto all’oblio”.
Ma vi era già un precedente, perché la Corte di Giustizia UE, in una sentenza del 2014, decise che un cittadino spagnolo avesse ragione nel fare rimuovere, dal quotidiano “La Vanguardia”, due articoli apparsi anni prima e quindi i relativi risultati offerti da Google. Benché le indicazioni della Corte fossero puntuali sulla deindicizzazione dei risultati di ricerca su scala globale, estendendo il diritto all’oblio oltre gli Stati membri dell’Unione Europea, Google rimosse i contenuti denunciati solo dai suoi siti europei, come google.de o google.fr, per intenderci, lasciando attivi i link agli articoli al di fuori dell’Europa.
Eppure tale condivisibile principio è stato disatteso recentemente proprio da una sentenza della Corte di giustizia UE nella causa C-507/17, per l’appello della decisione della Commission nationale de l’informatique et des liberté sopra richiamata, che ha avuto l’epilogo nella seguente statuizione: “Google non è tenuto a effettuare la deindicizzazione in tutte le versioni del suo motore di ricerca ma soltanto in quelle corrispondenti agli Stati membri dell’Unione europea. Deve tuttavia attuare misure che scoraggino gli utenti di Internet dall’avere accesso, a partire da uno degli Stati membri, ai link contenuti nelle versioni extra Unione europea”.
Con una contemporanea sentenza la stessa Corte ha stabilito, nella causa C-136/17, che nel valutare una domanda di deindicizzazione di “dati personali sensibili”, bisogna valutare, per ogni caso concreto, i diritti di privatezza e di identità sociale del richiedente la deindicizzazione e i diritti all’informazione degli utenti di Internet potenzialmente interessati. In tale valutazione di bilanciamento tra contrapposti interessi e diritti, il gestore di un motore di ricerca dovrebbe valutare, in concreto, la natura e la gravità della vicenda giudiziaria, lo svolgimento e l’esito di tale vicenda, il tempo trascorso dalla decisione, il ruolo rivestito dalla persona coinvolta e il suo comportamento passato e presente, l’attuale o inattuale interesse pubblico sulla definita vicenda giudiziaria, il contenuto e la forma dell’esposizione.
Precisa infine la Corte che, laddove il gestore del motore di ricerca constatasse la mancanza di un diritto alla deindicizzazione della persona richiedente, resta in ogni caso tenuto a sistemare l’elenco dei risultati in modo tale che l’immagine globale che risulta della persona interessata rifletta la situazione giudiziaria attuale, facendo comparire per primi in graduatoria i link che rappresentino la sua attuale personalità.
E su questa decisione niente da dire.
Tornando invece alla prima decisione che più ci interessa per l’effettività del diritto all’oblio nell’attuale società dell’informazione senza confini grazie a Internet, non è chi non veda che tale decisione segna un indirizzo incoerente e non condivisibile: gli utenti esperti di Internet possono facilmente aggirare il dominio nazionale di Google in cui avviene la deindicizzazione e avere accesso alle notizie cancellate. In ogni caso i contenuti che in Europa vengono considerati inattuali e quindi deindicizzati potranno essere ancora visibili nei risultati di ricerca di Google all’estero al di fuori dell’Unione Europea. Ma ha senso che il diritto all’identità sociale e alla privatezza di una persona sia confinato nel perimetro europeo ora che l’informazione non ha più confini?
“La barriera territoriale appare sempre più anacronistica” ha in proposito commentato il presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali Antonello Soro. E non possiamo che essere d’accordo.
Avv. Giovanni Bonomo – Diritto 24
Diritto all’oblio su scala globale? No, la Corte di giustizia UE dà ora ragione a Google,
articolo di Giovanni Bonomo