La sentenza del Tribunale dell’Unione Europea che ha dichiarato nullo il celebre marchio Adidas definisce le caratteristiche del “secondary meaning”. Se un marchio è privo di capacità distintiva in tutta la UE, la prova dell’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso, al fine di evitare l’addebito di nullità, deve riguardare tutti gli Stati membri e non solo una loro parte per quanto significativa a livello di popolazione.
Ha suscitato un certo clamore la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea che ha considerato nullo, per mancanza di carattere distintivo nel territorio dell’UE, il celebre marchio Adidas. Questo perché la notorietà del marchio non avrebbe mai fatto pensare, presso il largo pubblico, che esso fosse viziato in origine come carente di carattere distintivo; ma anche presso i giuristi la decisione è stata sorprendente perché si pensava che, per quanto possa essere debole, e finanche privo di carattere distintivo, il noto marchio figurativo rappresentato dalle tre strisce avesse ormai acquisito un carattere distintivo per l’uso diffuso e la notorietà acquisita, secondo il principio, noto nel diritto della proprietà intellettuale e industriale, del c.d. secondary meaning.
Giova preliminarmente chiarire che cosa si intende con tale espressione, che potremmo tradurre, al di là della lettera e per capirne meglio il senso, come significato aggiunto e rafforzativo del marchio: “se il marchio ha acquistato, per tutti i prodotti o servizi per i quali si chiede la registrazione, un carattere distintivo in seguito all’uso che ne è stato fatto” non può essere escluso dalla registrazione (art. 7 “Impedimenti assoluti alla registrazione” comma 3 del Regolamento UE 2017/1001, già CE n. 207/2009, sul marchio dell’Unione europea).
Tale principio del secondary meaning è valido anche per il marchio che sia stato registrato nonostante il contrasto con detto art. 7, vale a dire un marchio nullo in origine: “non può essere dichiarato nullo se, per l’uso che ne è stato fatto, dopo la registrazione ha acquisito carattere distintivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato” (art. 59 comma 2 Reg. cit).
Nel nostro diritto interno le due previsioni trovano corrispondenza nell’art. 13 del Codice della Proprietà Industriale, dove si prevede (al comma 2) che “possono costituire oggetto di registrazione come marchio di impresa i segni che prima della domanda di registrazione, a seguito dell’uso che ne sia stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo”; e che (comma 3) un marchio anche privo di carattere distintivo “non può essere dichiarato nullo se prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità, il segno che ne forma oggetto, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato carattere distintivo”.
Va da sé che Adidas non poteva avere migliore argomento di difesa nel ricorso avverso la decisione 7 marzo 2017 dell’EUIPO (Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) nel contenzioso con la Shoe Branding Europe e che la vedeva perdente con la dichiarazione di nullità del suo marchio.
Ma anche il Tribunale dell’Unione Europea, con la recente sentenza del 19 giugno 2019 che qui commentiamo, ha dichiarato nullo il marchio Adidas.
Tale sentenza è molto dettagliata nel rispondere alle eccezioni e argomentazioni di Adidas, sia in fatto che in diritto, ma a noi interessa esaminarne la motivazione, che è divisa in due parti, B e C, dopo la parte A) “considerazioni preliminari”:
- B) sull’ingiustificata (secondo Adidas) esclusione di taluni elementi di prova
e
- C) sull’errore (secondo Adidas) di valutazione circa l’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso.
Nella prima parte sub B il Tribunale confuta la tesi della ricorrente secondo cui il marchio figurativo sarebbe anche un “marchio a motivi”, per cui le tre strisce parallele equidistanti sarebbero idonee ad essere prolungate o tagliate in modi diversi anche in obliquo, a seconda dei prodotti ai quali esso si applica.
Tale tesi sulla presunta “legge delle varianti autorizzate” viene considerata inconferente, rimarcando il Tribunale che conta solo il marchio così come è stato rappresentato nella domanda di registrazione, che definisce come segue: “Esso consiste in tre fini strisce nere verticali e parallele, su fondo bianco, circa cinque volte più alte che larghe. Esso ha relativamente poche caratteristiche: il rapporto altezza/larghezza (pressoché 5:1), lo spazio bianco equidistante tra le strisce nere e il fatto che le strisce siano parallele”.
Ne consegue che non rilevano gli elementi di prova che mostrano non il marchio controverso ma altri segni che consistono in tre strisce bianche, o chiare, su fondo nero, o scuro, in una inversione di colori, o in un logo composto dal nome “adidas” e da un elemento figurativo composto da tre strisce in un triangolo, in un trifoglio o in una forma rotonda, peraltro applicato su borse per lo sport, che non fanno parte dei prodotti indicati con il deposito del marchio (abbigliamento, scarpe, cappelleria).
Nella seconda parte, sub B), della motivazione il Tribunale UE confuta le deduzioni della ricorrente che la commissione dell’EUIPO, dichiarando la nullità del marchio, non avesse considerato le prove che il marchio controverso avesse acquisito un carattere distintivo in seguito all’uso che ne era stato fatto nell’Unione.
Invero, premesso che anche qui non contano le forme d’uso diverse dal marchio così come è stato registrato, il fatto che alcune immagini prodotte dalla ricorrente corrispondano al marchio controverso e sono quindi in grado di dimostrare un certo uso di tale marchio, tali immagini non forniscono tuttavia alcuna indicazione circa la portata e la durata di detto uso o circa l’impatto di tale uso sulla percezione del marchio da parte del pubblico di riferimento.
In particolare, sebbene non sia necessario che sia fornita la prova, per ciascuno degli Stati membri dell’UE, dell’acquisizione da parte del marchio del carattere distintivo in seguito all’uso, le prove fornite devono consentire di dimostrare una siffatta acquisizione in tutti gli Stati membri dell’Unione. I risultati dei soli cinque studi di mercato pertinenti (riguardanti Austria, Germania, Belgio, Spagna e Ungheria), non possono essere estesi a tutti gli Stati membri, né i diversi elementi di prova prodotti dalla ricorrente consentono di dimostrare un uso – tale da far acquisire al marchio un carattere distintivo dei prodotti per i quali è stato registrato – del marchio controverso in tutto il territorio dell’Unione Europea.
Il principio affermato in tale sentenza è che se il marchio è privo di capacità distintiva in tutta la UE, la prova dell’acquisizione del carattere distintivo in seguito all’uso deve riguardare tutti gli Stati membri e non solo una loro parte, per quanto significativa a livello di popolazione.
Vi terremo informati sull’eventuale appello che Adidas farà alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Avv. Giovanni Bonomo – Diritto 24
Il celebre marchio Adidas è nullo perché privo di capacità distintiva,
articolo di Giovanni Bonomo