Il lavoratore che accede al periodo di comporto prolungato può rientrare nel comporto breve? L’analisi delle implicazioni giuridiche e pratiche
Il periodo di comporto è un istituto ampiamente noto nel diritto del lavoro, e si riferisce al limite massimo di assenze per malattia, oltre il quale il datore di lavoro può procedere al licenziamento del dipendente. In linea generale, si afferma che questo periodo non debba superare i sei mesi (180 giorni). Tuttavia, la durata e le modalità del comporto variano a seconda del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato, che ne disciplina i dettagli.
Le differenze tra i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL)
Un’analisi approfondita dei singoli contratti collettivi rivela che la regolamentazione del periodo di comporto non è uniforme, nemmeno all’interno di categorie similari. Ad esempio, se confrontiamo due contratti del settore commercio come il CCNL Commercio – Confcommercio e il CCNL Commercio – Conflavoro-Confsal, emergono differenze significative nella gestione delle assenze per malattia. Analogamente, tali variazioni si riscontrano tra settori diversi, come nel caso del CCNL Metalmeccanica Industria e del CCNL Commercio – Confcommercio. Queste discrepanze evidenziano la complessità della normativa dell’istituto del periodo di comporto.
Di seguito si riportano alcuni stralci dei CCNL sopra menzionati:
CCNL Commercio – Conflavoro-Confsal | CCNL Commercio – Confcommercio | CCNL Metalmeccanica Industria |
Articolo 36 – Periodo di comporto | Art. 186 – Periodo di comporto | Articolo 2 – Trattamento in caso di malattia ed infortunio non sul lavoro |
1. Il lavoratore non in prova, che debba interrompere il servizio a causa di malattia o infortunio non sul lavoro, avrà diritto alla conservazione del posto, con riconoscimento dell’anzianità relativa a tutti gli effetti, per i seguenti periodi: a. 180 giorni di calendario con malattia continuativa certificata in un anno solare, inteso come l’arco temporale di 360 giorni calcolati a ritroso partendo dall’ultimo evento di malattia; b. In caso di malattia per sommatoria, cesserà per l’azienda l’obbligo della conservazione del posto e del trattamento economico qualora il lavoratore abbia raggiunto nel complesso, durante i 36 mesi antecedenti l’ultimo evento di malattia, 180 giorni di calendario di malattia certificati, anche generati da patologie diverse e/o per periodi non continuativi. c. per le malattie di particolari gravità, intendendosi per tali le patologie oncologiche, sclerosi multipla e cirrosi epatica certificate, la conservazione del posto, su richiesta del lavoratore e dietro presentazione di comprovante certificazione medico-sanitaria, è da considerarsi estesa a 720 giorni di assenza di calendario per malattia – consecutivi o per sommatoria – da calcolarsi entro l’arco temporale di 48 mesi antecedenti l’ultimo evento di malattia. | Durante la malattia, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procedere al licenziamento con la corresponsione di quanto previsto agli artt. 248 e 249, del presente contratto, salvo quanto disposto dal successivo art. 192. (…) | Conservazione del posto di lavoro In caso di interruzione del servizio dovuta a malattia o infortunio non sul lavoro, il lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del posto per un periodo, definito comporto breve, di: a) 183 giorni di calendario per anzianità di servizio fino a 3 anni compiuti; b) 274 giorni di calendario per anzianità di servizio oltre i 3 anni e fino ai 6 anni compiuti; c) 365 giorni di calendario per anzianità di servizio oltre i 6 anni. (…) |
La Complessità del Calcolo del Periodo di Comporto Prolungato
Un aspetto particolarmente complesso e delicato, sul quale spesso avvocati e consulenti del lavoro tendono a evitare di addentrarsi, riguarda il calcolo del periodo di comporto quando si superano i sei mesi generalmente previsti e si entra nel cosiddetto “comporto prolungato“, che è previsto solo da alcuni contratti collettivi nazionali, tra cui il CCNL Metalmeccanica Industria.
La questione fondamentale che ci si deve porre, data l’incertezza legata alla formulazione poco chiara di alcuni contratti collettivi, è se, una volta che il lavoratore entra nel periodo di comporto prolungato, tale permanenza sia a tempo indeterminato o se, al contrario, dopo un determinato periodo o al verificarsi di un dato evento, il lavoratore ritorni nel calcolo del periodo di comporto breve.
A titolo esemplificativo, se analizziamo il CCNL Metalmeccanica Industria, l’art. 2 – Trattamento in caso di malattia ed infortunio non sul lavoro prevede che:
“Il lavoratore ha diritto ad un periodo di conservazione del posto, definito comporto prolungato, nei seguenti casi:
– evento morboso continuativo con assenza ininterrotta o interrotta da un’unica ripresa del lavoro per un periodo non superiore a 61 giorni di calendario;
– quando si siano verificate almeno due malattie comportanti, ciascuna, una assenza continuativa pari o superiore a 91 giorni di calendario;
– quando alla scadenza del periodo di comporto breve sia in corso una malattia, compresa la prognosi prevista nell’ultimo certificato medico, pari o superiore a 91 giorni di calendario.
Sorge spontanea la domanda su come ci si debba comportare quando, in un caso concreto, si verifichi una delle ipotesi previste per il passaggio al comporto lungo. Consideriamo, ad esempio, l’ipotesi n. 3, che prevede l’ingresso nel periodo di comporto prolungato quando, alla scadenza del comporto breve, sia in corso una malattia con prognosi pari o superiore a 91 giorni di calendario, riferita a un lavoratore con oltre sei anni di anzianità (dunque il periodo di comporto prolungato sarebbe pari a 548 giorni).
In tal caso, se alla scadenza del comporto breve la malattia è pari o superiore a 91 giorni, il lavoratore passa automaticamente nel periodo di comporto prolungato. Tuttavia, poiché il periodo di comporto viene calcolato retroattivamente, ci si chiede se sia necessario, in ogni fase del rapporto di lavoro, tornare indietro di tre anni nel calcolo dei 548 giorni per verificare se il periodo di comporto sia stato superato. È evidente che un’interpretazione di questo tipo risulterebbe inaccettabile.
Di conseguenza, si deve interpretare l’articolo in modo letterale, ovvero applicabile solo a una malattia continuativa che, anche se interrotta, faccia riferimento a un unico evento morboso. Inoltre, poiché il datore di lavoro non è in grado di verificare dettagli specifici sulla natura della malattia, se non per quanto riportato nel certificato medico, si presume che, in caso di presentazione di un nuovo certificato per una malattia diversa, il lavoratore rientri nuovamente nel periodo di comporto breve.
Conclusioni: Un Approccio Bilanciato tra i Diritti del Lavoratore e del Datore di Lavoro
Questa soluzione appare la più logica, poiché consente di bilanciare i diritti del lavoratore e quelli del datore di lavoro. In effetti, la possibilità di accedere al comporto lungo è stata introdotta con l’intento di proteggere il lavoratore nel caso in cui, al termine del comporto breve, sia affetto da una malattia grave che richiede lunghe cure. Questa misura è giustificata soprattutto quando la patologia in corso continua a rappresentare una situazione di rilevante gravità.
Tuttavia, se la malattia che si presenta dopo la scadenza del comporto breve è diversa da quella originaria, le ragioni che giustificano il passaggio al comporto lungo vengono meno. In tali circostanze, sarebbe ragionevole ripristinare i calcoli relativi al comporto breve, poiché la nuova condizione non è necessariamente equiparabile a quella che ha giustificato l’accesso al comporto lungo.
Questo approccio rispetta sia l’esigenza del lavoratore di essere tutelato in caso di malattie gravi, sia il diritto del datore di lavoro a una gestione sostenibile delle assenze prolungate. Il sistema risulta quindi bilanciato, tenendo conto delle diverse esigenze delle parti coinvolte e preservando un quadro di equità.