Licenziamento dei manager, le norme in Italia

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INDICE – Licenziamento dei manager, le norme in Italia

Licenziamento dei manager, le norme

Chi sono manager secondo la legge italiana?

Licenziamento dei manager, il principio di giustificatezza

Licenziamento dei manager, quando impugnarlo?

Licenziamento dei manager, le norme

In Italia la normativa relativa al licenziamento dei dirigenti è regolata dagli articoli 2118 e 2119 del Codice Civile, oltre che dalla contrattazione collettiva.

L’art. 2118 del Codice Civile dice espressamente:

“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro.”

Licenziamento dei manager le norme in Italia

Inoltre l’art. 2119 del Codice Civile afferma che:

“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente.

Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.”

È inoltre necessario tenere conto che tutti i contratti collettivi stabiliscono che il licenziamento del dirigente deve essere giustificato. Sebbene la legge italiana permetta una maggiore flessibilità nella cessazione del rapporto di lavoro dei dirigenti rispetto agli altri dipendenti, è comunque necessario rispettare principi di trasparenza e correttezza formale.

Chi sono manager secondo la legge italiana?

Facendo riferimento all’art. 2095 del Codice Civile e le rispettive leggi speciali e norme corporative, possiamo affermare che il dirigente è colui che occupa una posizione apicale nell’azienda, con ampi poteri decisionali e organizzativi, agendo in sostanziale autonomia. Questo ruolo di “alter ego” dell’imprenditore implica un forte rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Di conseguenza, più elevata è la fiducia, maggiori sono le situazioni che possono comprometterla. Pertanto, i dirigenti possono essere licenziati per motivi che non sarebbero sufficienti per altri dipendenti, secondo quello che viene definito il principio di “giustificatezza”.

Licenziamento dei manager, il principio di giustificatezza

Il concetto di giustificatezza, sviluppato dalla giurisprudenza e integrato nei contratti collettivi, richiede che il licenziamento del dirigente sia motivato da ragioni sostanziali e non arbitrarie. Questo principio, più ampio della giusta causa e del giustificato motivo, obbliga il datore di lavoro a giustificare il licenziamento basato su motivazioni valide e rilevanti, che possono includere sia inadempimenti meno gravi sia esigenze organizzative.

In definitiva, la giurisprudenza ha chiarito che la giustificatezza del licenziamento dei dirigenti si basa su una valutazione complessiva delle circostanze, escludendo l’arbitrarietà e rispettando i principi di buona fede e correttezza.

Licenziamento dei manager, quando impugnarlo?

Quando il licenziamento ha natura disciplinare, si applicano le garanzie previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Il dirigente ha quindi diritto a contestare le accuse e a fornire giustificazioni prima che il provvedimento disciplinare sia adottato.

Licenziamento dei manager le norme in Italia

Se il licenziamento non rispetta le procedure di garanzia, il dirigente può impugnarlo presso il Tribunale competente, richiedendo l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità supplementare. Quest’ultima è una forma di risarcimento predeterminata dalla contrattazione collettiva e valutata dal giudice in base a vari fattori come la durata del rapporto di lavoro e la condotta delle parti.

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