Costituisce insegnamento tradizionale quello secondo cui il creditore particolare di un socio di una società di persone non possa procedere al pignoramento delle quote sociali riferibili al proprio debitore fintanto che la società dura. Ciò trova il proprio fondamento nel combinato disposto di cui agli artt. 2305 e 2270 c.c., la cui ratio consiste nel preservare, per tutta la durata della società, l’autonomia del patrimonio sociale e rispettare il carattere intuitus personae della partecipazione nella medesima.
Sennonché, nel corso degli ultimi anni è stato messo in evidenza come le partecipazioni sociali delle società, tanto di capitali quanto di persone, per un verso, rappresenterebbero una frazione del patrimonio sociale e, per altro verso, si sostanzierebbero nel coacervo dei diritti e dei doveri in cui si compendia lo “status” di socio. Esse, quindi, avrebbero un autonomo valore di scambio e andrebbero riguardate come oggetto unitario di diritti e di obblighi. Sulla scorta di tali considerazioni, è stato affermato che tali partecipazioni costituirebbero “beni giuridici” ex art. 810 c.c. e metterebbero capo a posizioni contrattuali “obiettivate”, suscettibili, come tali, di formare oggetto di negozi giuridici; con il corollario che non vi sarebbero ostacoli, in linea di principio, ad annoverare le partecipazioni sociali tra i beni suscettibili di espropriazione forzata e di misure cautelari dirette a salvaguardare la garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c.
Ciò premesso in termini generali, affinché il principio dianzi enunciato possa operare con riferimento alle partecipazioni sociali di una società di persone, si è ritenuto necessario e sufficiente che, per espressa disposizione dell’atto costitutivo o dello statuto, tali quote siano trasferibili con il consenso solo del cedente e del cessionario, anche laddove tale previsione si accompagni al riconoscimento, in capo agli altri partecipanti alla società, di un diritto di prelazione. Ciò in quanto, innanzitutto, la libera trasferibilità della quota attribuirebbe alla partecipazione sociale quel carattere “obiettivo”, funzionale a poterla annoverare tra i beni giuridici suscettibili di essere aggrediti esecutivamente; in secondo luogo, il menzionato diritto di prelazione in favore degli altri soci non inciderebbe sul potere di uscita del socio dalla società, bensì unicamente sulle relative modalità.
Una volta chiarito quanto precede, in considerazione del fatto che l’esecuzione forzata non avrebbe ad oggetto un credito, ma un vero e proprio bene, l’azione esecutiva dovrebbe essere eseguita nelle forme dell’espropriazione mobiliare presso il debitore ex art. 518 ss. c.p.c. In particolare, si è detto che la quota di una società di persone costituirebbe, al pari di una quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata, un bene immateriale equiparabile ad una cosa mobile, con conseguente applicazione analogica dell’art. 2471 c.c. nonché, laddove la quota sociale staggita non sia liberamente trasferibile, in quanto oggetto del diritto di prelazione in favore degli altri soci, dell’art. 2471, comma 3, c.c.
Avv. Diana Parisi Avv. Guglielmo Marmiroli