La memoria rivolta al futuro

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Si pensa che la memoria riguardi solo il passato perché ci rimanda a fatti e accadimenti passati; in verità riguarda anche il futuro, perché ciò che si archivia nella nostra mente ha senso e significato se viene poi utilizzato per quello che accadrà. E questo vale ancor più nell’odierna società dell’informazione e della comunicazione multimediale, dove i ricordi non sono solo per noi, sono di tutti. Voglio dire che con i social network la memoria è diventata una materia condivisa, basti pensare ai nostri post su Facebook o Linkedin, che ci vengono riproposti di anno in anno, siano essi contenuti di valore come articoli oppure post leggeri di svago e divertimento.

Anche la costruzione stessa del ricordo avviene oggi pubblicamente: ricordiamo in quanto pubblichiamo, proprio perché condividiamo. Ve lo dice chi ha sempre fatto, della condivisione e del confronto, i propri strumenti di pensiero, sia nella professione che nell’attività di giornalista pubblicista e promotore culturale. La socialità si esprime ora con Internet verso il mondo intero e le nostre opinioni si formano in quel “pubblico diario privato” che sono appunto i social network. Se non si ha nulla da nascondere ma viceversa molto da dire, si partecipa alla società civile e al pubblico dibattito, dando il proprio contributo di pensiero al vivere sociale (art. 4 c. 2 Cost.), non avendo alcun senso accampare, in un’ottica di condivisione e reciproco arricchimento, il diritto alla privatezza.

Altra cosa è la profilazione dei nostri dati per finalità di marketing che viene considerata dai più una manovra subdola delle grandi imprese operanti in Internet per intercettare i nostri gusti e le nostre abitudini. Senza entrate nel merito dei vantaggi e degli svantaggi per la cittadinanza e al di là delle Linee Guida del Comitato europeo per la protezione dei dati  e del previsto  diritto di opposizione, l’uso costante  e massivo dei Big Data sembra in effetti sottrarsi ad ogni nostro potere di controllo e verifica.

D’altra parte il libero confronto sulla Rete tra cittadini di diverse parti del pianeta resta la maggior conquista in termini di libertà di espressione del pensiero che l’umanità ha potuto avere grazie alle moderne tecnologie di comunicazione da remoto. Noi avvocati e liberi professionisti dovremmo usare a fin di bene la tecnica dell’inbound marketing, che serve  a catturare un’ampia audience fornendo contenuti interessanti e di qualità alla cittadinanza.

Più volte abbiamo parlato della deontologia forense e del divieto per l’avvocato di farsi una palese pubblicità: affiniamo piuttosto la nostra capacità di renderci visibili e di essere trovati, scoperti o rintracciati su Intenet grazie a contenuti di valore. Così come più volte abbiamo pure parlato, nelle nostre riunioni, di come tracciare, misurare, tramite le giuste key words, il gradimento del pubblico dei lettori, per comprendere come migliorare il sito web, quali social network utilizzare, come avviene la conversione da potenziale cliente a cliente effettivo.

Anche la gestione della memoria viene oggi agevolata dalle tecnologie di cloud computing e di storage digitale, in modo da consentire quella raccolta e immagazzinamento di dati utile a ricavare risposte attuali e nuove idee. Così anche le imprese hanno modificato l’approccio con la memoria: non si archivia più a scopo solo conservativo per tenere un archivio del passato, ma si conservano dati e accadimenti per utilizzarne le informazioni per il futuro. E così pure nel settore delle libere professioni la memoria serve al futuro, per trarne benefici per nuove attività e nuovi progetti.

Di questo ho voluto parlarvi, in un’ottica progettuale e pensando al futuro, perché una buona gestione dei dati e una corretta archiviazione sono alla base delle “buone prassi” nelle reti collaborative tra professionisti e nelle relazioni professionali, temi di cui abbiamo ampiamente parlato nei webinar anche a proposito di digitalizzazione e progressiva informatizzazione dello studio legale

Milano, 11. 1.2021                      Avv. Giovanni Bonomo – A.L. Chief Innovation Officer –  Dipartimento di diritto dell’informazione e dell’informatica.

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