Lo sfruttamento inconsapevole e per un uso non voluto sul web del marchio altrui, esclude la responsabilità dell’utilizzatore già licenziatario, proprio perché manca qualsiasi controllo sulla pubblicazione, che era rimessa e resta solo all’operatore del sito.
La Rete è uno spazio infinito di possibilità, sia per l’informazione sia per la pubblicità in essa veicolate. Anche la funzione pubblicitaria del marchio viene enormemente amplificata, al punto che certe situazioni poi sfuggono di mano.
Il caso preso in esame due anni fa dalla Corte di Giustizia UE rivela la difficoltà, se non l’impossibilità, di sfuggire ad addebiti di utilizzazione abusiva di un marchio anche per un ex licenziatario utilizzatore dello stesso che abbia fatto il possibile per eliminare la scia pubblicitaria di un annuncio pubblicato nella vigenza del rapporto con la società licenziante.
Addebiti che, se esaminati nella sostanza, con riferimento alla situazione concreta, in cui il già licenziatario e ancora involontario utilizzatore della pubblicità del marchio non ottiene ragione dall’operatore del sito che non lo cancella, si rivelano infondati.
Si tratta della sentenza della Corte di Giustizia UE resa il 3 marzo 2016, nella causa C-179/15, perché esprime un ovvio e umano principio, che sarà auspicabilmente seguito dai nostri giudici nazionali.
Il caso nasce sull’addebito di informazione non veritiera e scorretta rivolta ad un’officina (già) autorizzata “Mercedes-Benz” per aver continuato ad avvalersi dell’effetto pubblicitario conseguente ad annunci nei quali ancora campeggiava il noto marchio, di cui è titolare esclusiva la società Daimler AG.
In particolare, essendo stato il concessionario ungherese Egyud Garage, dal 2007 al 2012, affiliato a Daimler AG tramite la consociata ungherese Mercedes Benz Hungaria Kft, era ovvio che in quegli anni avesse fatto uso del marchio “Mercedes-Benz”. Ciò si rifletteva negli annunci che lo stesso concessionario aveva pubblicato su un sito web per pubblicizzare la propria attività di riparatore autorizzato.
Un annuncio in particolare era stato poi incluso in altri siti web che, come di prassi, lo avevano utilizzato per incrementare le proprie banche dati ed attrarre maggiori utenti. Non era mancato poi la normale indicizzazione nel motore di ricerca Google.
Il concessionario, in seguito alla risoluzione del rapporto con la Daimler AG, aveva tentato più volte di ottenere dai siti e da Google la cancellazione degli annunci presenti sul web in cui veniva offerta un’informazione non più attuale con l’associazione di un marchio di cui lo stesso concessionario non era più licenziatario.
Questo comportamento diligente è stato tenuto in considerazione dalla Corte, la quale ha confermato, in linea con precedenti sentenze, che non si possono imputare all’inserzionista gli atti o le omissioni degli operatori del web che non provvedano a eliminare un annuncio una volta ricevuta la richiesta di rimozione di chi lo aveva pubblicato.
Una situazione quindi che sfuggiva (quando la situazione sembrava sotto controllo, in verità si rivelava il controllo della situazione, direbbe A.G. Pinketts) ad ogni possibilità di intervento diretto del concessionario già inserzionista.
Secondo i giudici comunitari la nozione di “uso del marchio” da parte del non titolare o del non (più) licenziatario dello stesso implica un comportamento attivo o almeno una possibilità di controllo sull’atto che costituisce l’uso: nel caso in esame mancava invece lo stesso consenso dell’inserzionista, che anzi aveva espresso la volontà contraria all’uso, ma che non era stato ascoltato dagli operatori dei siti in cui figurava ancora il marchio.
E’ chiaro che in questo caso, come in altri analoghi, la responsabilità non può che essere dell’operatore del sito o del motore di ricerca che, avvisato del carattere non più attuale e quindi illegittimo di un contenuto già pubblicato, non provveda subito a rimuoverlo.
Avv. Giovanni Bonomo – ALP