Format televisivo e sua tutelabilità secondo il diritto d’autore

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Format televisivo (interno studio)

Il format televisivo ha trovato nell’elaborazione giurisprudenziale una propria definizione atta a delineare le caratteristiche che contano ai fini della tutelabilità come opera dell’ingegno.

E’ noto il principio informatore del diritto d’autore secondo il quale vengono protette non le semplici idee, per quanto creative e nuove, bensì la forma espressiva in cui tali idee si manifestino.

Parlando del “format” televisivo e della sua tutelabilità nell’ambito della normativa sul diritto d’autore, tale principio è stato sempre il punto di partenza, in sede dottrinale e giurisprudenziale, per tutte le considerazioni sulla proteggibilità o meno, a seconda della compiutezza espressiva, del tipo di format in esame.

In giurisprudenza, in particolare, si è passati da un primo orientamento, inteso a non ritenere tutelabili programmi televisivi articolati solo ed esclusivamente in uno “schema”, per difetto del requisito della compiutezza espressiva e rappresentativa, ad un secondo e più recente orientamento volto a sostenere la tutelabilità anche di uno “schema di trasmissione” a condizione che lo stesso presenti sufficienti elementi di creatività e originalità.

Secondo questo orientamento uno “schema di programma” può considerarsi sufficientemente delineato quando, pur senza giungere ad una esposizione minuziosa ed analitica, fornisca elementi tali da caratterizzare in modo compiuto almeno la natura e lo svolgimento degli eventi. In questo caso, anche quando il tema centrale della trasmissione non abbia di per sé caratteristiche di novità, si è in presenza di un’elaborazione originale e proteggibile.

Ne consegue che a maggiori diversificazioni e caratteristiche originali del format conseguirebbero maggiori possibilità di ottenerne la tutela in sede giudiziale.

Resta il fatto che il format non è contemplato dall’art. 2 della legge sul diritto d’autore (l. 633/1941) e che non si sono avuti, così come è avvenuto per i programmi per elaboratore e le banche dati, interventi legislativi di ammodernamento della norma in modo da includervi anche il “format”, la cui definizione è il frutto solo dell’elaborazione giurisprudenziale.

Non poteva che essere così, a fronte del vuoto normativo inammissibile, se pensiamo che il format è alla base delle principali produzioni televisive ed è oggetto di negoziazione tra vari soggetti (emittente, produttore, autore, interpreti, attori).

E di tale elaborazione giurisprudenziale chi scrive è stato pure partecipe. Non possono non ricordare le argomentazioni in difesa di R.T.I. atte ad assecondare il primo orientamento, scritte negli atti insieme al compianto genitore avv. Aldo Bonomo a fronte di addebiti di contraffazione di format: si faceva riferimento a quell’indirizzo giurisprudenziale e dottrinale secondo il quale le idee alla base di un programma televisivo, seppur originali, non sono tutelabili se non si sviluppano in un canovaccio precostituito, se lasciano spazio all’improvvisazione e a eventi imprevedibili; e le argomentazioni erano incentrate sulla negazione dei caratteri di compiutezza, di replicabilità del format rivendicato e degli “schemi di gioco” in generale.

Degno di menzione è il contenzioso della causa Baila! / Ballando, che ebbe una grande risonanza mediatica, intentata dalla conduttrice Milly Carlucci, insieme a RAI e Ballandi Entertainment, per contestare e inibire il programma televisivo “Baila!” per asserita contraffazione del format “Ballando”. Fu una delle pochissime sentenze sfavorevoli a R.T.I., perché in questo caso il Tribunale di Roma ravvisò la contraffazione e inibì la messa in onda di Baila!, essendo stato riconosciuto a “Ballando” quella “creatività sufficiente a differenziarlo da altre gare di ballo”, con ordinanza confermata in sede di reclamo. Si stava ormai delineando quell’indirizzo volto a colmare una lacuna normativa sulla tutelabilità del format televisivo come opera dell’ingegno.

Come si definisce il format televisivo?

Una prima definizione venne fornita dalla SIAE Società Italiana degli Autori ed Editori nel 1994 (Bollettino SIAE n. 66/1994 p. 546): “un’opera dell’ingegno avente struttura originale esplicativa e compiuta nell’articolazione delle sue fase sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un’azione radiotelevisiva o teatrale, immediatamente o attraverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli. Ai fini della tutela, l’opera deve comunque presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi”.

Per quanto neutrale rispetto al merito dei format depositati, perché l’ente si limita a verificare alcuni requisiti formali attribuendo una data certa, va riconosciuto alla SIAE di aver fatto il primo passo, con tale definizione, verso la tutela del format. Tale definizione è stata poi ripresa, nel 2001, dall’AGCom, Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con delibera 699/01/CSP, la quale aggiunge che si tratta di opera complessa formata dagli elementi necessari alla produzione televisiva, come le scene, i personaggi, le regole del gioco, la scenografia, etc. oltre ovviamente al titolo e al concept, vale a dire l’indicazione sintetica della struttura narrativa.

In mancanza di un’assoluta originalità del concept, saranno questi ulteriori elementi a dare comunque dignità di opera tutelabile al format: lo sviluppo dettagliato della trama, la definizione dei ruoli principali, la descrizione delle componenti visive e sonore, la scaletta di ogni puntata, gli eventuali meccanismi di gioco.

Ma è stato nell’anno 2017 che la Corte di cassazione (sent. n. 18633 del 27. 7.2017) ha chiarito e riassunto i requisiti per la tutela giuridica del format delineati nell’ultimo decennio.

La Suprema Corte, confermando l’iter logico-argomentativo dei giudici di merito nel decidere la controversia promossa dalla nota emittente nei confronti di una società di produzione televisiva, ritenne che il format televisivo già elaborato dalla società di produzione convenuta fosse dotato di una sufficiente definizione creativa e compiutezza espressiva, mentre le modificazioni aggiunte dall’attrice fossero del tutto marginali.

I giudici di legittimità mostrano di conoscere la definizione di format data da L.C. Ubertazzi nel suo Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, VI ed., 2016, p. 1483: “uno schema di base che individua i principali tratti caratteristici di una trasmissione televisiva o, più spesso, di un’intera serie di trasmissioni tra loro veramente coordinate”. Come già precisato dalla SIAE nella sua definizione, tale schema, dotato di titolo, deve però svilupparsi, ai fini della tutelabilità come opera dell’ingegno, in una struttura narrativa, in un apparato scenico e in personaggi fissi e, per essere immediatamente riconoscibile come opera, in una sintetica descrizione, o concept.

Sono la compiutezza espressiva, la struttura programmatica, gli elementi strutturali della vicenda, l’ambientazione nel tempo e nello spazio, il filo conduttore della narrazione, i personaggi nei loro caratteri peculiari, che fanno assurgere il format a dignità di opera dell’ingegno tutelabile secondo il diritto d’autore. In mancanza di tali elementi, conclude la Suprema Corte, un “format televisivo” non può essere tutelato come opera dell’ingegno, essendo un’ideazione generica, carente dei requisiti di creatività e individualità espressiva che stanno alla base della tutelabilità di un’opera dell’ingegno.

Si ritorna insomma al punto di partenza, al principio informatore del diritto d’autore secondo cui non vengono protette le idee in quanto tali, per quanto creative e nuove, bensì la forma espressiva che esse assumono. E il “format televisivo” sarà proteggibile quando soddisfa le caratteristiche ora inequivocabilmente delineate.

Avv. Giovanni Bonomo

Format televisivo e sua tutelabilità secondo il diritto d’autore,
articolo di Giovanni Bonomo

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