TRASFERIMENTO LAVORATORI E CESSIONE D’AZIENDA

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  1. INTRODUZIONE
  2. DISCIPLINA
  3. I PRESUPPOSTI DELLA FATTISPECIE E LA DIFFERENZA CON LA CESSIONE DEL CONTRATTO
  4. GIURISPRUDENZA
  5. CESSIONE RAMO D’AZIENDA DELLA SOCIETA’ CAPOGRUPPO
  6. CONCLUSIONI
assenze ingiustificate

1.INTRODUZIONETRASFERIMENTO LAVORATORI

La cessione di un’azienda, o di un suo ramo autonomo, rappresenta un passaggio strategico e delicato per qualsiasi organizzazione. Oltre a influire sul futuro dell’attività imprenditoriale e sulle politiche di sviluppo, incide direttamente sui rapporti di lavoro. Comprendere a fondo questa disciplina e individuare correttamente i presupposti per la sua applicazione è cruciale per prevenire incertezze e contenziosi, soprattutto quando i confini dell’operazione non risultano ben delineati o coinvolgono strutture societarie complesse all’interno di uno stesso gruppo.

2. DISCIPLINA

La disciplina del trasferimento dei lavoratori nel caso di cessione di ramo d’azienda trova il suo fondamento nell’art. 2112 cc, che garantisce per i lavoratori il mantenimento di tutti i diritti che derivano dal rapporto di lavoro originario; ciò significa che il cessionario è obbligato ad applicare tutti i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali e nazionali vigenti alla data del trasferimento.

3. I PRESUPPOSTI DELLA FATTISPECIE E LA DIFFERENZA CON LA CESSIONE DEL CONTRATTO

A differenza dell’ordinaria fattispecie di cessione del contratto, la fattispecie speciale del trasferimento derivante da cessione d’azienda o di parte di essa, non richiede il consenso del contraente ceduto. L’art. 2112 c.c., in deroga alla norma generale di cui all’art. 1406 c.c. ha introdotto un meccanismo automatico di prosecuzione del rapporto a tutela del dipendente affinché eventuali modifiche negli assetti proprietari non possano avere un impatto negativo sulle sue condizioni di lavoro. 

Proprio in ragione di questa sostanziale differenza, risulta cruciale individuare con esattezza quando si possa effettivamente trasferire il lavoratore senza il suo consenso. Il discrimine tra le due discipline risiede nella sussistenza o meno dei presupposti della cessione d’azienda o di un ramo di essa. Più precisamente, è assoggettato alla disciplina dell’art. 2112 di cui sopra, solamente il trasferimento di un lavoratore effettuato in ragione dei trasferimenti indicati dal co.5 dell’art. 2112.

Tale norma stabilisce che si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione – in seguito a cessione contrattuale o fusione – che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità.

Le stesse considerazioni valgono per il trasferimento di parte dell’azienda, intesa come complesso di beni che, pur facendo parte di un insieme omogeneo più vasto, è idoneo a dar luogo ad un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata.

Da ciò discende che il primo requisito affinché un ramo sia genuinamente trasferibile consiste nell’autonomia del ramo ceduto, che deve essere munito di una propria struttura imprenditoriale. Il secondo aspetto cruciale è la preesistenza di tale ramo rispetto all’operazione di trasferimento.

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4. GIURISPRUDENZA

Questi “presupposti fondamentali” – è evidente – devono essere valutati concretamente dal giudice attraverso un giudizio di merito effettuato caso per caso. Negli anni la giurisprudenza ha formulato sulla scorta del dettato legislativo i concetti di “autonomia funzionale”, preesistenza” e “conservazione dell’identità”.

Con “autonomia funzionale”, la giurisprudenza intende la capacità del segmento ceduto di svolgere la propria attività senza dipendere costantemente da strutture o risorse esterne. Il ramo ceduto deve essere un insieme di beni, persone e, talvolta, rapporti giuridici, organicamente coordinati e capaci di svolgere un’attività economica specifica in modo autonomo rispetto al resto dell’azienda cedente, possedendo una propria capacità produttiva o operativa. La ratio è garantire che ciò che viene trasferito sia un’entità effettivamente operativa;

i giudici verificano concretamente se il ramo possieda un quid pluris rispetto alla semplice somma dei singoli beni trasferiti, dovendo trattarsi di un’entità economica che conservi la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati allo scopo dello svolgimento di un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria. L’autonomia funzionale, inoltre, non può essere creata ex novo in prossimità dell’operazione, ma deve riflettere un’organizzazione concreta, effettivamente funzionante prima della cessione. La giurisprudenza insiste molto sul requisito della “preesistenza” di tale autonomia al fine di escludere qualsiasi configurazione meramente fittizia o ad hoc creata all’ultimo momento per legittimare l’operazione.   

Infine, le sentenze parlano di “conservazione dell’identità” post-cessione: l’entità trasferita deve mantenere la sua identità anche dopo il trasferimento presso il cessionario, il che significa che l’attività economica specifica, legata a quel ramo, deve poter continuare, assicurando che la cessione non sia una mera dismissione ma il proseguimento di un’attività riconoscibile. Si valuta quindi se il cessionario prosegua o riprenda l’attività con gli stessi beni o beni analoghi, se venga trasferita la maggior parte del personale, la clientela, il grado di somiglianza delle attività e la durata di eventuali interruzioni.  

5. CESSIONE DEL RAMO D’AZIENDA DELLA SOCIETA’ CAPOGRUPPO

Poniamo ora l’attenzione sul caso più specifico e ben più complesso della società capogruppo che ceda ad una società terza esterna al gruppo un ramo della propria azienda. Questa fattispecie presenta diversi profili di complessità, soprattutto quando le attività incluse nel ramo ceduto siano svolte, in tutto o in parte, da lavoratori formalmente dipendenti di altre società appartenenti al medesimo gruppo.

Nella pratica, capita spesso che la capogruppo gestisca centralmente un business unitario (ossia un ramo di attività dotato di autonoma funzione economica e gestionale) ma i lavoratori formalmente dipendano da altre società (magari per ragioni storiche, per precedenti ristrutturazioni o per vincoli contrattuali), pur operando quotidianamente a vantaggio della capogruppo.

In tal caso, occorre anzitutto comprendere se, all’interno delle singole società che forniscono il personale, possa effettivamente individuarsi un ramo d’azienda dotato di autonomia funzionale e organizzativa, tale da consentire il trasferimento dei rapporti di lavoro verso il soggetto cessionario secondo la disciplina di cui all’art. 2112 c.c.

Sul piano pratico, il primo aspetto da verificare riguarda la possibilità di “replicare” la configurazione del ramo d’azienda esistente in capo alla capogruppo nelle altre società del gruppo. In altre parole, non è sufficiente che la capogruppo individui un insieme di beni e funzioni che costituisca un’entità produttiva autonoma; è necessario che ogni consociata, dalla quale si vogliano far transitare lavoratori al cessionario, disponga a sua volta di una porzione di attività connotata da un’autonomia sostanziale e preesistente, non costruita artificiosamente in prossimità dell’operazione. Solo in presenza di questa autonomia funzionale nelle varie società del gruppo potrà configurarsi, per ciascuna di esse, una cessione di ramo d’azienda in senso tecnico, che comporta l’automatico trasferimento dei rapporti di lavoro ai sensi dell’art. 2112 c.c., con il mantenimento di tutti i diritti (ivi compresa l’anzianità di servizio) già maturati presso il cedente.

Nella prassi potrebbe infatti capitare che la singola consociata non presenti all’interno della sua struttura un vero e proprio ramo d’azienda autonomo.

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5.1. ALTRE SOLUZIONI PER IL TRASFERIMENTO

Quando non ricorrono i presupposti per qualificare come ramo d’azienda la porzione di attività in cui operano i lavoratori che si desidera trasferire, diviene necessario valutare strumenti giuridici differenti che consentano, in forme diverse dal trasferimento ex art. 2112, di porre tali lavoratori a disposizione di un nuovo datore. Si possono vagliare diverse ipotesi:

Cessione del contratto ex art. 1406 c.c.: questa ipotesi offre una soluzione di passaggio del rapporto di lavoro dal datore (cedente) a un nuovo soggetto (cessionario) senza che sia necessario comprovare l’esistenza di un ramo d’azienda e senza l’applicazione automatica delle tutele di cui all’art. 2112 c.c. A differenza di quanto accade in caso di trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, la cessione del contratto non avviene in modo automatico ma è necessario il consenso del contraente ceduto (nel caso di specie, il lavoratore).

Quest’ultima costituisce una variabile di incertezza, poiché un eventuale dissenso del lavoratore impedirebbe il perfezionamento della cessione. Un ulteriore limite rispetto all’art. 2112 c.c. è dato dall’assenza di automatismi per la salvaguardia dell’anzianità e degli altri diritti maturati. In via di principio, tali garanzie possono essere integralmente mantenute, ma occorre prevederlo espressamente nell’accordo di cessione; in mancanza di previsioni chiare, il lavoratore rischia di perdere parte dei benefici acquisiti o di doverne rivendicare la continuità in un eventuale contenzioso

Dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, la gestione coordinata di più cessioni di contratto può rivelarsi più articolata rispetto a un’unica operazione di trasferimento di ramo, poiché richiede la sottoscrizione di molteplici accordi trilaterali. Tuttavia, nonostante queste criticità, la cessione ex art. 1406 c.c. risulta essere una soluzione operativa adeguata nei casi in cui non ricorrano i presupposti previsti dal 2112 co. 5, menzionati in precedenza.

  • Staff-leasing tramite agenzia terza: lo staff leasing costituisce una specifica forma di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, disciplinata dal D.lgs. n. 81/2015. Attraverso questo strumento, i lavoratori sono formalmente assunti dall’agenzia di somministrazione, la quale si occupa di tutti gli aspetti retributivi, contributivi e gestionali (es. buste paga, adempimenti INPS/INAIL), per poi “inviarli” presso l’utilizzatore (ossia l’impresa che effettivamente impiega tali risorse nei propri processi produttivi o nei propri servizi). Nel contesto di trasferimenti di lavoratori da un’impresa all’altra (specie quando non ricorrono i presupposti del ramo d’azienda ex art. 2112 c.c.), lo staff leasing può essere talvolta impiegato come soluzione ponte per assicurare alle aziende la possibilità di impiegare immediatamente il personale, senza avviare cessioni di contratto o altre operazioni più complesse. Tuttavia, anche in questo caso – come per la cessione del contratto – questa opzione deve essere valutata con cautela, tenendo conto del consenso del lavoratore, che potrebbe rifiutare il passaggio all’agenzia.
  • Cessazione del rapporto di lavoro e successiva riassunzione: l’originario datore di lavoro e i lavoratori interessati potrebbero concordare la cessazione del rapporto di lavoro in essere – tramite risoluzione consensuale o, più raramente, dimissioni – e la successiva assunzione dei lavoratori da parte del nuovo datore di lavoro (la società acquirente/cessionaria). In tal caso, il contratto con l’originario datore di lavoro si interrompe e ne nasce uno totalmente nuovo con il nuovo soggetto. Ciò richiede il consenso esplicito dei dipendenti, formalizzato secondo le procedure telematiche previste dalla normativa vigente per le dimissioni e le risoluzioni consensuali. Tuttavia, tale soluzione presenta diverse criticità da considerare attentamente: anzitutto, cessando il rapporto con l’originario datore di lavoro, i lavoratori perdono, a meno di previsioni contrattuali diverse e specifiche pattuizioni, la continuità del servizio e la relativa anzianità maturata. Ciò comporta, ad esempio, la liquidazione del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) maturato sino a quel momento presso il cedente.  Inoltre, se i lavoratori non aderiscono in maniera genuinamente volontaria alla risoluzione del rapporto, potrebbero successivamente impugnare tale risoluzione, qualificandola come un licenziamento privo di giustificato motivo o ritorsivo, con le conseguenti tutele legali.

Per favorire l’accordo e rendere più accettabile la soluzione per i lavoratori, l’originario datore di lavoro potrebbe offrire una somma aggiuntiva a titolo di incentivo alla risoluzione consensuale (cosiddetto “incentivo all’esodo”). Questo può contribuire a minimizzare il rischio di future controversie. Un’altra prassi frequente, per mitigare l’impatto sul lavoratore, è quella di prevedere nel nuovo contratto di assunzione con il nuovo datore di lavoro una clausola di “riconoscimento convenzionale” dell’anzianità maturata presso il precedente datore, quantomeno ai fini di determinati istituti contrattuali (es. scatti di anzianità, preavviso, comporto per malattia). È importante sottolineare che tale riconoscimento non ha efficacia automatica ai fini legali (ad esempio per il TFR futuro, che riparte da zero), ma serve a rendere meno gravoso il passaggio per i lavoratori sul piano contrattuale ed economico.

6. CONCLUSIONI

In conclusione, il trasferimento dei lavoratori nell’ambito di una cessione ramo d’azienda richiede un’attenta valutazione giuridica e organizzativa, soprattutto quando si tratta di strutture complesse come i gruppi societari. La corretta applicazione dell’art. 2112 c.c. garantisce la continuità dei rapporti di lavoro e la tutela dei diritti dei dipendenti, ma presuppone l’effettiva esistenza di un’entità economica autonoma e preesistente. Nei casi in cui tali presupposti non siano soddisfatti, è fondamentale individuare strumenti alternativi che rispettino la normativa vigente e i diritti dei lavoratori.

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