La diffamazione aggravata su Facebook

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La diffamazione aggravata su FacebookLa diffamazione aggravata su Facebook

La diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità, nel caso specifico Facebook, ma ciò nonostante meno grave, in termini di pena, rispetto a quella aggravata dal mezzo della stampa, resta uno dei paradossi dovuti alla rapida rivoluzione digitale alla quale non è seguito un altrettanto rapido adeguamento di molte leggi.

La trasformazione digitale dei mezzi di diffusione del pensiero e tra essi il più antico, la stampa, diventata anch’essa online, comporta spesso incongruenze e anche paradossi, dovuti al fatto che le regole pensate in passato si rivelano inadatte alla realtà attuale.

Ne abbiamo un recente esempio nel caso della diffamazione su Facebook, il più noto social network a diffusione mondiale: logica vorrebbe che, essendo un mezzo pervasivo e diffuso sul pianeta, una diffamazione amplificata indefinitamente dovrebbe comportare sanzioni penali più gravi rispetto alla diffamazione commessa con la stampa.

La Suprema Corte ha recentemente stabilito, con una sentenza di quest’anno [1], che trattasi sì di diffamazione aggravata dal “mezzo di pubblicità”, tale cioè da rientrare nella previsione del terzo comma della norma penale, ma non di diffamazione aggravata dal “mezzo della stampa”, tale cioè da rientrare nella previsione specifica della legge sulla stampa che prevede una più grave sanzione [2].

La differenza non è di poco conto, perché l’esclusione della legge sulla stampa dimezza di fatto la pena edittale da 6 a 3 anni nel massimo [3].

Il paradosso è che la diffamazione aggravata su Facebook non può essere equiparata a quella sulla stampa quoad  poenam, anche se raggiunge un pubblico potenzialmente molto più vasto e tendenzialmente illimitato.

Ciò non toglie che la stessa Suprema Corte ha in passato configurato una “interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine stampa“, avendo ricompreso nel concetto le testate giornalistiche online, ma aggiungendo anche che “tale operazione ermeneutica non può riguardare in blocco tutti i nuovi media, informatici e telematici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter mailing list, Facebook, etc) ma deve rimanere circoscritto a quei casi che, per i profili strutturale e finalistico, sono riconducibili al concetto di stampa“: caratterizzata quest’ultima, in sostanza, dalla professionalità di chi scrivendo diffama[4].

Vorrei aggiungere che vale anche il principio garantista, in materia penale, che non consente qualsiasi interpretazione estensiva  che non sia nel senso del favor rei, cioè del maggior favore per l’imputato di un reato. Per cui prevale sempre la lettera della legge e la disposizione specifica, anche se appare incongruente e non più equilibrata soprattutto se ci mettiamo nei panni della persona offesa.

avv. Giovanni Bonomo – ALP

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[1] Cass. Sez. V sent. n. 4873/17 del 1.02.2017. Il caso della diffamazione aggravata su Facebook era stato sollevato dal procuratore della Repubblica di Imperia, il quale aveva impugnato per abnormità l’ordinanza con cui il GIP locale aveva riqualificato un fascicolo relativo agli “apprezzamenti” via Facebook pubblicati da un imputato catanese nei confronti di un terzo, fatto avvenuto nell’estate del 2013. Per il giudice preliminare non si trattò di diffamazione aggravata dal fatto determinato e «dal mezzo della stampa» bensì di semplice diffamazione aggravata dal «mezzo di pubblicità» e ovviamente dall’attribuzione del fatto determinato, tesi alla fine confermata dalla Corte di cassazione con tale sentenza. Se ne veda il testo in http://www.ipsoa.it/~/media/Quotidiano/2016/02/19/Lavoratori-trasfertisti–per-gli-emolumenti–reddito-previdenziale–al-50-per-cento/3066-16%20pdf.pdf

[2] Disposizioni sulla stampa Legge 8 febbraio 1948, n. 47 Art.  13 Pene per la diffamazione: “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000.” 

[3] Art. 595 Diffamazione: “(…) Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 Euro

[4] Cassazione Civile  S.U., sentenza 18.11.2016 n. 23469 che richiama quanto già stabilito dalle Sezioni Unite Penali in sent. 29. 1. dep. 17. 7.2015 n. 31022.

 La diffamazione aggravata su Facebook,
articolo di Giovanni Bonomo

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