Per salvaguardare l’attuale identità sociale di una persona occorre garantire la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia di cronaca, attraverso il collegamento con altre informazioni successivamente pubblicate, fino ad arrivare alla possibile cancellazione dagli archivi della notizia non più attuale.
Nessuno può negare che Internet è stato, nel complesso, un avanzamento nella libertà di espressione e nello sviluppo del giornalismo indipendente (fino ad arrivare al citizen journalism o “giornalismo partecipativo”, alla portata cioè di tutti i cittadini), anche se spesso si è dovuto e si deve ancora affrontare il problema della diffusione incontrollata delle notizie e della conseguente questione della verità della fonte notiziale, la quale è il primo obbligo del giornalista, sia professionale che improvvisato.
Oltre a questo vi è anche il problema che lo stesso trascorrere del tempo pone: non è solo questione di attualità della notizia, bensì di credibilità della stessa quando si riferisca ad una determinata persona nei suoi comportamenti trascorsi e con riferimento ad eventi passati; questi hanno ancora rilevanza ai fini della corretta e veritiera valutazione del soggetto?
Come sappiamo le vicende personali che ci riguardano sono parte della nostra vita che è in continua evoluzione: noi non siamo più le stesse persone che eravamo prima, e questo possiamo dirlo non solo rispetto al passato remoto, anche a quello di pochi anni addietro: le abitudini cambiano, le idee si chiariscono, la nostra cultura si arricchisce, e di conseguenza anche i nostri comportamenti mutano.
Tutto questo, portato nel campo del diritto, pone il problema del frequente conflitto tra l’individuo in se considerato, vale a dire quale portatore del diritto alla considerazione veritiera e aggiornata di se stesso, e l’informazione giornalistica. Tale informazione può tradursi infatti in una rappresentazione del soggetto parziale o distante dalla reale identità della persona, proprio perché si riferisce ad eventi (che si possono considerare) ormai superati e non più significativi per la reale valutazione di una persona nel presente.
Si tratta di un tema delicato perché riguardante anche il fenomeno della c.d. coda di Internet, per cui la notizia di ieri può essere più letta di quella di oggi o addirittura di quella di domani, imponendosi sulla realtà dei fatti e producendo un’informazione assolutamente distorta.
La questione ha indotto, alla fine, anche il legislatore comunitario a regolamentare la materia, ma prima di parlarvi del recente Regolamento UE sulla protezione dei dati personali, valido anche per l’Italia dal mese di maggio del 2016, vogliamo ripercorrere la genesi del “diritto all’oblio” nel nostro ordinamento, alla quale ha contribuito una nota sentenza della Suprema Corte del 2012 [1].
Tale sentenza spinse parte della dottrina a configurare un fondamento costituzionale al diritto all’oblio, che deriverebbe dallo stesso art. 3 Cost. (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (…)“), in quanto la dignità si traduce nel diritto del singolo a vedere rispettata la propria reputazione, il proprio buon nome, a non essere discriminato circa i propri orientamenti e ai propri stili di vita. Del resto di tale fondamento costituzionale si troverebbe conferma nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove all’art. 1 si afferma che la dignità umana è inviolabile.
Nella motivazione della sentenza il “diritto all’oblio” viene configurato come il diritto alla contestualizzazione e alla rappresentazione integrale dell’identità, rifiutando la riduzione del soggetto alle sole informazioni trattate digitalmente: “(…) deve riconoscersi al soggetto cui pertengono i dati personali oggetto di trattamento, il diritto all’oblio, vale a dire al relativo controllo a tutela della propria immagine sociale, che anche quando trattasi di notizia vera, e a maggior ragione se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e all’aggiornamento dei medesimi e, se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione”.
Anche il Garante per la protezione dei dati personali, con due provvedimenti negli anni 2012 e 2013 [2] ha poi stabilito che gli archivi giornalistici online debbano essere sempre aggiornati, accogliendo i ricorsi di due cittadini e ordinando a un gruppo editoriale “di predisporre, nell’ambito dell’archivio storico on-line del quotidiano (…) un sistema idoneo a segnalare, ad esempio a margine dei singoli articoli o in nota agli stessi, l’esistenza di sviluppi delle notizie relative al ricorrente“.
Si tratta di un’applicazione concreta dei princìpi già espressi dalla Corte di cassazione nella richiamata sentenza, che stabilisce una sorta di obbligo di rettifica per fatti sopravvenuti e che definiscono meglio di quelli passati la reale e attuale personalità del soggetto.
Il dato normativo attuale di riferimento è ora, a livello sovranazionale, il Regolamento 2016/679 UE sulla protezione dei dati personali, concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati il quale prevede che tutti i cittadini europei abbiano il pieno controllo dei propri dati personali [3].
Il considerando 65, in particolare, dispone che “ogni persona deve avere il diritto di rettificare i dati personali che la riguardano e il “diritto all’oblio”, se la conservazione di tali dati non è conforme al presente regolamento. In particolare, l’interessato deve avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati…(…)“. L’art. 17, intitolato “Diritto alla cancellazione (“diritto all’oblio”)“, riproduce poi tale previsione.
Lo stesso art. 17 prevede quindi precise ipotesi in cui il responsabile del trattamento non ha l’obbligo di procedere alla cancellazione dei dati, in quanto la conservazione è resa necessaria: in primo luogo “(a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione“.
A questo proposito è utile richiamare quanto dispone l’art. 85: “gli Stati membri prevedono, esenzioni o deroghe rispetto ai capi II (principi), III (diritti dell’interessato), IV (titolare del trattamento e responsabile del trattamento), V (trasferimento di dati personali verso paesi terzi o organizzazioni internazionali), VI (autorità di controllo indipendenti), VII (cooperazione e coerenza) e IX (specifiche situazioni di trattamento dei dati) qualora siano necessarie per conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà d’espressione e di informazione“.
Giova appena accennare alla contemporanea, rispetto al Regolamento, Direttiva UE 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata a Bruxelles il 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati, per le inevitabili interferenze con la privatezza dei soggetti indagati di reato quando l’attività giornalistica si occupa di cronaca giudiziaria.
Per salvaguardare l’attuale identità sociale di una persona occorre insomma garantire la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia di cronaca, attraverso il collegamento con altre informazioni successivamente pubblicate. E il “diritto all’oblio” significa, allora, il diritto a contestualizzare e finanche a cancellare i propri dati personali, da esercitare nei confronti della testata giornalistica, al fine di evitare che la vita passata possa costituire un ostacolo per la vita presente e ledere la propria dignità.
Avv. Giovanni Bonomo – – AL Assistenza Legale – Diritto 24
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[1] Cass. civ. 5 aprile 2012 n. 5525 riguardante il rapporto tra il “diritto all’oblio” e gli archivi telematici dei quotidiani on-line. Tale sentenza ha provocato molti commenti in dottrina: mi limito a segnalare il più significativo, a mio parere, di T.E. Frosini, in Dir. Inf. 2012 p. 911, intitolato “Il diritto all’oblio e la libertà informatica“.
[2] Provvedimento n. 2286432 del 20.12.2012 e n. 2286820 del 24. 1.2013, riportati nella Newsletter 27. 3.2013 n. 371 del Garante in http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/2339483
[3] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati, in http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2016.119.01.0001.01.ITA